C ontinuiamo a rallegrarci per la nostra democrazia. Additiamo gli invasori russi in Ucraina (e i loro complici) come autoritari e antidemocratici e rassicuriamo gli italiani: il nuovo governo e i suoi partner euroatlantici restano baluardo delle libertà.

In ogni dove riecheggia questa parola, democrazia, come locuzione salvifica che tinge di bene tutte le cose.

L a memoria corre infatti alla democrazia ateniese e delle città greche che in antichità si opposero ai persiani e tentarono di resistere agli imperatori romani, i quali, all'inizio, si dicevano anch’essi democratici (primus inter pares) salvo poi divenire veri e propri despoti, unti del Signore. Ci siamo però dimenticati che la democrazia ateniese non aveva quasi nulla a che vedere con la nostra. Sulla collina della Pnice si radunavano infatti solo gli uomini liberi; tutti gli altri erano esclusi. Si prendevano le decisioni necessarie; non si delegavano, come si fa oggi, ad un manipolo di eletti, i quali, senza vincolo di mandato, fanno poi come gli pare.

Per secoli in molti hanno preferito, al governo di tutti, il governo dei migliori e guardavano alla democrazia solo come una fatalità transitoria, una reazione alle vessazioni dei tiranni. Così Tommaso Garzoni, nel tardo ‘500, scriveva: “quando la moltitudine ingiustamente oppressa, tratta dall'ira e spinta da furore, si delibera di vendicare gli oltraggi ricevuti, subito ne nasce la democrazia, cioè l'amministrazione del popolo”. Abbiamo infine dimenticato che la democrazia si nutre anche di altro. Ad esempio, quando Alexis de Toqueville, compì il suo famoso viaggio negli Stati Uniti, notò come le grandi fortune non giacevano per troppo tempo nelle stesse mani. Era infatti democratico, ai suoi occhi, un sistema che garantiva mobilità sociale. Anche perché, così facendo, i ricchi prosperavano, sì, ma non formavano una classe. L’idea non era tanto peregrina, visto che Thomas Piketty (nel suo Capitale nel ventunesimo secolo) lamenta come, nel ‘900, le fortune cambiavano di mano spesso mentre, da qualche decennio, questo non accade più.

C’è dunque una correlazione tra democrazia, distribuzione della ricchezza ed equità sociale? Jean Jacques Rousseau diceva che “la democrazia esiste dove non c'è nessuno così ricco da comprare un altro e nessuno così povero da vendersi”. Oggi Barack Obama vede la democrazia americana in pericolo perché “la persona media non conta e il sistema è sbilanciato a favore dei ricchi, dei potenti, di interessi privati”. Forse non è dunque un caso che l’Economist, nel suo Democracy Index, collochi gli USA al 22° posto e l’Italia al 31°, mentre i Paesi scandinavi sono ai primi posti al mondo. L’Index si basa su cinque grandi parametri: pluralismo e sistemi elettorali, funzionamento dei Governi, partecipazione e cultura politica. Peccato, perché il report afferma che un aumento della mobilità sociale del 10% produrrebbe, nel nostro Paese, un aumento del Pil di quasi il 5% in 10 anni. Non avranno quindi ragione Noam Chomsky e la scrittrice indiana Arundhati Roy (Is Democracy still Democratic?) quando dicono che le istituzioni democratiche non reggono il peso delle multinazionali e dei principi neoliberali?

Forse la nostra democrazia non è dunque un fortino sicuro attorno al quale muovono orde di barbari. Anche l’Istat ci conferma infatti che meno del 10% degli italiani si interessa alla politica ed è noto che nessun governo gode del voto della maggio ranza degli elettori (men che meno degli italiani). Quindi quale democrazia senza la partecipazione degli elettori alle scelte degli eletti? L’ultimo rapporto Censis dice che il 5,9% degli italiani non crede al Covid, il 5,8% che la terra è piatta; il 19,9% che il 5g serve a controllare le persone. Winston Churchill diceva che “il miglior argomento contro la democrazia è una conversazione di cinque minuti con l’elettore medio”. Quale democrazia, dunque, con la manipolazione delle informazioni e la scarsa istruzione degli italiani?

Troppe domande; meglio tranquillizzare il popolo. In tanti si accontentano infatti di sapere che la democrazia c’è piuttosto che parteciparvi consapevolmente. Non parliamo dunque di democrazia ma del suo ologramma. Di quella ateniese resta uno sbiadito ricordo. Ma basta quello.

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