N on è una sanzione penale, e non è una pena aggiuntiva per chi sconta una condanna all’ergastolo. L’articolo 41 bis di cui si parla in questi giorni a causa delle vicende, da un lato di ordine pubblico dall’altro politiche, legate al caso dell’anarchico Alfredo Cospito, è una norma dell’Ordinamento penitenziario, non del Codice penale, proprio perché non riguarda la pena ma il regime carcerario. Che può essere applicato tanto ai detenuti condannati quanto a quelli in attesa di giudizio.

La norma ha uno scopo preciso: evitare che il detenuto conservi contatti esterni con le organizzazioni criminali mafiose e terroriste. Ecco perché lo chiamano “carcere duro”: l’isolamento è pressoché totale, i colloqui sono limitati, i momenti d’aria super sorvegliati. È stata introdotta nel 1986 con la Legge Gozzini - sì, proprio quella sui benefici ai condannati - per far fronte a casi di rivolta o di grave emergenza negli istituti di pena. Dopo la strage di Capaci, dove furono uccisi Giovanni Falcone, la moglie e gli agenti di scorta, il carcere duro fu esteso ai detenuti per mafia, poiché era provato che anche all’interno dei penitenziari i boss riuscivano a gestire i traffici e dare i loro ordini criminali.

N on era più soltanto una soluzione alle emergenze interne ai penitenziari ma una norma con un fortissimo impatto sulla criminalità organizzata fuori dal carcere. Tale è stata l’efficacia che il 41 bis è stato al centro del famigerato “papello” sulla presunta trattativa Stato-mafia. Inizialmente la legge aveva un carattere temporaneo: tre anni. Nel 2002 è diventata stabile. Non solo: da allora è applicabile anche ai detenuti per terrorismo ed eversione. Il carcere duro può durare al massimo quattro anni, ma è prorogabile ogni due.

Alfredo Cospito, l’anarchico che in 104 giorni di sciopero della fame ha perso 40 chili, protesta per sé e tutti gli altri: vuole essere riammesso al regime carcerario ordinario, che ha vissuto fino al maggio scorso, per dieci anni, da quando è stato arrestato (e poi condannato a 10 anni e 8 mesi) per aver ferito alle gambe un dirigente dell’Ansaldo. Nel frattempo è stato condannato a 20 anni per un attentato del 2005 con due bombe a basso potenziale contro una caserma dei carabinieri. Questa sentenza è stata annullata dalla Cassazione che ha riqualificato, aggravandolo, lo stesso fatto: strage per attentare alla sicurezza dello Stato. È così iniziato un nuovo processo d’appello nel quale l’accusa ha chiesto l’ergastolo. Il processo è stato però sospeso in attesa che la Corte costituzionale valuti la legittimità della norma che impedisce il bilanciamento tra l’attenuante della tenuità del fatto (non ci sono stati morti né feriti) e l’aggravante della recidiva.

Da cosa nasce la tensione che ha portato a diversi attentati, all’estero e in Italia, da parte di gruppi anarchici, e a un acceso dibattito politico? Tutto è cominciato la scorsa primavera quando l’allora ministra della Giustizia Marta Cartabia ha firmato per Cospito, com’era nelle sue competenze, il regime carcerario più duro, previsto dall’articolo 41 bis dell’Ordinamento penitenziario. Da quel momento l’anarchico, trasferito da Terni nel carcere sassarese di Bancali, ha dato vita alla sua protesta, con lo sciopero della fame. Qualcuno - pochi e sporadicamente - ha sollevato il problema addirittura della costituzionalità del 41 bis, deflagrato nel dibattito pubblico all’indomani dell’arresto del boss stragista di “cosa nostra” Matteo Messina Denaro. A ruota si è aggiunto quello dell’ergastolo ostativo di cui si discute da tempo.

Anche qui, però, occorre sgomberare il campo: l’ergastolo ostativo è una pena che non prevede l’uscita dal carcere né l’ammissione ai benefici penitenziari. Fino a qualche mese fa era automatico per tutti i condannati che non avessero collaborato con la giustizia, ora invece la decisione è affidata al giudice di sorveglianza. Con una sola eccezione: per i condannati che siano detenuti in regime di 41 bis l’ergastolo è comunque ostativo. Eccolo il legame. Va da sé che l’eliminazione del 41 bis è un potente grimaldello per aggirare il fine pena mai automatico e rimettere per tutti la decisione al giudice. Temi delicatissimi sui quali bisognerebbe discutere a mente fredda, senza fare di Cospito un simbolo né con siderare gli attentati di chi lo sostiene una pressione cui cedere o meno. Fior di giuristi si sono espressi, pure in tempi non sospetti, soprattutto contro l’ergastolo ostativo, in virtù della norma costituzionale che prevede la riabilitazione del condannato come obiettivo, altri sulla disumanità del 41 bis, a fronte di chi ribadisce che basterebbe dissociarsi per essere ammessi ai benefici e che l’efficacia del carcere duro nella lotta alla mafia è sotto gli occhi di tutti.

Quanto a Cospito, si deve decidere sul caso concreto, senza lasciar spazio a parole come cedimento e ricatto. Se – pur a causa dello sciopero della fame - il detenuto rischia la vita, lo Stato ha il dovere di intervenire, in attesa dell’udienza in Cassazione, il 7 marzo, sul merito dell’applicazione del 41 bis a un uomo definito pericoloso, ma che non ha ucciso nessuno.

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