A lle soglie dei novant’anni, carico di titoli e d’esperienza, voglio indicare ai miei conterranei – “pocos, locos y desunidos” – l’unica via per uscire dall’anonimato politico, culturale e sociale rispetto alla Nazione oggi detta italiana.

La mia proposta è nuova, rivoluzionaria (conosco tutte le Scuole storiche europee), ed è riassumibile nell’assunto: «Tutte le storie politiche, militari, culturali, sociali, eccetera, devono essere inserite all’interno dello Stato che le produce (o le ha prodotte se lo Stato è morto)». (…)

Q uesto vuol dire che di qualsiasi cosa o personaggi o avvenimenti della storia militare, artistica, letteraria, si voglia parlare, discutere e divulgare, si deve specificare innanzitutto dentro quale contesto essa storia viene inserita. Sembra ovvio ma non è così. In Italia – che è l’ambito che ci interessa – il Governo centrale, attraverso il Ministero della Pubblica Istruzione, impone in tutte le scuole di ogni ordine e grado che la storia militare, artistica, letteraria, non è quella dello Stato di cui siamo tutti cittadini, insulari e peninsulari, dentro il quale viviamo, agiamo e lavoriamo ma quella della Penisola che è una parte, anche se maggiore, dello Stato.

Il risultato è che tutti quelli che hanno studiato conoscono, per esempio, la battaglia di Legnano o le vicende delle Repubbliche marinare o le opere (seppur bellissime) degli artisti del Rinascimento, ma nessun italiano, anche colto, sa quando è nato, dove è nato e qual è la storia militare, artistica, letteraria, ecc., dello Stato di cui è cittadino; nemmeno il suo massimo rappresentante (e vi garantisco che è proprio così, perché sono stato amico e consigliere di un Presidente della Repubblica). Cosa ci guadagneremmo noi Sardi, se venisse applicato in tutte le scuole statali l’assunto che è lo Stato sardo dal 1324 ad oggi il contenitore della storia militare, artistica, letteraria, ecc. della Nazione e non la Penisola? Beh, se siete intelligenti, ve lo lascio immaginare.

Il problema in fondo è sempre lo stesso: o noi sardi correggiamo la prospettiva di vita nel confronto col resto della Nazione (ovverosia con gli abitanti della Penisola) imponendo loro una verità scientifica incontrovertibile; e cioè che siamo attualmente tutti cittadini di un preciso Stato nato a Cagliari-Bonaria il 19 giugno 1324 e mai morto (sebbene abbia cambiato tre volte il nome), o continueremo a non contare nulla né politicamente, né culturalmente, né socialmente, malgrado i nostri nuraghi, la nostra lingua, le nostre musiche, i nostri modi di vita i quali, al toscano, al lombardo, al laziale, ecc., non interessano per niente.

Invece, se insistiamo che, senza lo Stato sardo, loro – i Peninsulari – non esisterebbero, perché sarebbero una miriade di popoli formata da sei Stati preunitari, allora le cose, nei confronti di noi sardi – anche se siamo “pochi, brutti e cattivi” – muterebbero; sicché, per logica, sarebbero loro a dover studiare noi e non viceversa, con conseguenze politiche, culturali e sociali ribaltate.

Capisco che è difficile cambiare la mentalità, e che molti reagiscono cercando di riportarmi alla storia antropologica dei Sardi indigeni senza valore, dentro un contenitore di fattura straniera (storia che conosco benissimo); ma, per essere chiaro, faccio un esempio, a me caro perché sono un tifoso di calcio: lo scudetto del 1969-70 fu vinto da Albertosi, Cera, Nenè, Domenghini, Riva ecc. che non erano certamente sardi indigeni, ma senza la Società del Cagliari Calcio nata nel 1920 loro non ci sarebbero stati, per cui lo scudetto è sardo, indiscutibilmente sardo, e ce ne vantiamo (e chi dice il contrario “peste lo colga!”).

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