A lcuni anni fa Hillary Clinton bollò come “deplorables”, deplorevoli, gli americani intenzionati a votare per il suo concorrente, Donald Trump. Si sa come andarono quelle elezioni. Forse nell’esito influì pure il fatto che coloro che la Clinton aveva gratificato del simpatico aggettivo ebbero l’impressione che dietro ci stesse più che l’eccitazione della campagna elettorale: un giudizio morale netto, sincero, incontrovertibile.L’ascesa del populismo negli ultimi anni è stata anche questo. L’elettore altrui non è più, come nel mondo dell’altro ieri, un elettore che posso provare a persuadere. È un nemico che devo odiare e rispetto al quale la campagna elettorale è una lotta senza quartiere: o loro o noi. È l’effetto più cospicuo del prevalere dei temi identitari rispetto alle questioni economiche. Finché discutiamo di crescita economica contro equità sociale è, se non facile, almeno possibile trovare delle mediazioni. Accettare un po’ più dell’una sapendo che il prezzo è un po’ meno dell’altra. Si parla, dopotutto, la medesima lingua. La politica dell’identità va necessariamente in una direzione diversa. Non c’è mediazione possibile sul “chi siamo”.

F autori della famiglia tradizionale e sostenitori delle istanze lgbtq+ non pensano di avere, ciascuno, il suo spazio sotto il grande cielo della società liberale. Ritengono che il futuro della civiltà dipenda dal fatto che s’impongano gli uni oppure, simmetricamente, gli altri.Nelle ultime settimane le elezioni italiane, poi quelle brasiliane e infine quelle israeliane hanno lanciato segnali contrastanti. In ognuno di questi casi, però, le “guerre culturali” hanno influito sull’esito e non paiono essersi concluse. Solo dagli Stati Uniti potrà arrivare un cambio di passo ma, verosimilmente, non oggi. Le elezioni di medio termine saranno un banco di prova importante, per destra e sinistra identitarie. Eletto come un democratico moderato, Biden è stato sin qui il Presidente “più a sinistra” della storia americana: anzitutto sul fronte della spesa. Ma anche su quello dei valori è partito lancia in resta contro la decisione della Corte Suprema sull’aborto. Il suo tentativo è quello di mobilitare fino all’ultimo elettore, pescando nel bacino simbolico della sinistra più estrema.A destra, al contrario, bisognerà verificare, collegio per collegio, quanto contano ancora personalità e armamentario retorico di Donald Trump. L’ex Presidente non ha mollato la presa negli ultimi due anni e ha risposto al fuoco giudiziario diventando il “padrino” di una nuova classe dirigente del Grand Old Party. Non sempre i trumpiani hanno vinto, nelle primarie, contro i repubblicani “tradizionali”: ma l’esito di quelle sfide andrà verificato alla prova elettorale. C’è chi dice che gli Stati Uniti sono stanchi dell’iper-politicizzazione permanente che viene dalla politica dell’identità. Altri, invece, sottolineano come proprio l’amministrazione Biden abbia ravvivato il trumpismo, dal momento che a scelte politiche così radicali l’unica risposta possibile sono scelte altrettanto radicali, di segno opposto.È vero che non bisogna confondere quanto avviene in superficie con alcune maree inarrestabili nell’establishment americano, che governi la destra o la sinistra: per esempio, la forte opposizione, ormai bipartisan, alla Cina di Xi, calmierata soltanto dalle altrettanto profonde ragioni dello scambio economico fra i due Paesi. Ma il timbro della politica americana influenza come null’altro l’intero mondo occidentale. Anche le vicende di casa nostra. Se ai Dem riuscisse di tenere il Senato (la Camera è destinata, secondo tutte le previsioni, a restare repubblicana), l’amministrazione Biden non apparirebbe indebolita e continuerebbe a rappresentare un vincolo, con le sue decisioni di politica internazionale così come con le parole d’ordine in politica interna, anche per l’Europa. Ma al contrario un Biden pesantemente indebolito da una maggioranza repubblicana in entrambi i rami del Parlamento sarebbe un riferimento assai meno forte. Importante sarà poi verificare “quali” repubblicani ce la faranno. I trumpiani, o quelli vecchio stile? L’atteggiamento rispetto alla guerra in Ucraina non è lo stesso e pertanto la reazione a nuovi stanziamenti pro-Zel ensky non sarebbe la medesima. Orban e Abascal hanno nell’ex Presidente Trump un forte riferimento ed esistono, fra i repubblicani, intellettuali e politici che guardano con interesse a un’Europa nella quale lo Stato ogni tanto è Stato etico - in controtendenza rispetto al passato ma in perfetta continuità con una visione dell’economia che, in campo Dem, ormai è interventista come e più di quella della sinistra europea. I segnali dagli Stati Uniti, come sempre, indicheranno anche ai nostri politici che sentiero battere. Prepariamoci.

Direttore dell’Istituto Bruno Leoni

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