N elle ricerche di diritto penale lo monitoriamo come “chilling effect”, cioè effetto congelante. È la condizione di stallo che si realizza nella società quando la giustizia penale si fa troppo invadente: il legislatore prevede come reato troppi fatti, minaccia pene sproporzionate, e non è raro che nelle aule di giustizia si sviluppino eccessi interpretativi, generando la percezione collettiva del rischio di punizioni imprevedibili.

Anche aver approfondito il caso prima di agire, avere chiesto pareri preventivi a professionisti autorevoli o alle autorità pubbliche preposte, e anche aver consultato le precedenti decisioni della giurisprudenza, non protegge dal rischio che un inquirente proponga un’interpretazione nuova, che camminerà per anni di giudizio fino a infrangersi, magari, di fronte ai giudici del primo o dei successivi gradi, regalando nel mentre a persone innocenti anni d’inferno, ferite all’immagine, e spese ingenti di difesa che nessuno rifonderà mai.

Nel caso, poi, che l’accusa sia grave, sull’interpretazione “inedita” potranno radicarsi misure cautelari; se l’imputato sia imprenditore, professionista o pubblico amministratore, il buon nome conseguito in tanti anni gli si rivolterà contro come un boomerang, causando a catena la perdita di occasioni, clienti, contratti, incarichi, l’esclusione da finanziamenti, da possibilità di carriera e di misurarsi nelle pubbliche competizioni elettorali.

Complici altri nostri problemi endemici, come la burocrazia ancora dilagante, l’effetto è la paralisi.

L a paralisi non solo di una buona dose di cattivi propositi – che ovviamente è bene – ma anche di tante attività ed aspirazioni lecite, normali e quotidiane, che consentono alla società di progredire tramite l’operosità, l’iniziativa e la ricerca d’innovazione dei suoi migliori cittadini, invece spinti da queste cupe prospettive a fare il meno possibile e stare rintanati nella incensurabile mediocrità, all’insegna del “chi non fa non sbaglia”, motto che non ha mai portato ricchezza né sviluppo.

Le cause sono due: la prima è il timore di agire senza aver compreso chiaramente il confine del lecito; la seconda è il timore che saranno le aule di giustizia a individuare questo confine ogni volta in un punto diverso della “geografia” del diritto penale, e quindi a condannarci per comportamenti che ritenevamo leciti e normali, per giunta a una pena alta.

In un dibattito sereno e realista sui problemi della giustizia bisogna avere il coraggio di andare oltre i classici temi “tecnici”, come la separazione delle carriere, su cui giuristi e opinionisti si impantanano senza spostare nulla di concreto. Bisogna, infatti, affrontare il nucleo duro del problema, domandandosi quale costo quotidiano possa avere per la crescita dell’economia e della società la eccessiva pervasività del diritto penale.

Un tempo, sui muri del Palazzo di Giustizia cagliaritano campeggiava la scritta vandalica “Di Pietro portaci in Europa”, ma oggi è l’Europa a dirci che non è affatto il diritto penale esasperato il veicolo per lo sviluppo. Anzi, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) richiestoci dall’Europa non domanda all’Italia di rendersi presentabile a colpi di giustizia penale pervasiva, come fin troppo ci è stato ripetuto dagli adepti del populismo forcaiolo, ma esattamente l’opposto: la riduzione del 25% nei tre gradi di giudizio, entro il mese di giugno del 2026, dell’impatto della giustizia penale sul tempo e la vita delle persone.

Alcune inchieste giornalistiche ripropongono costantemente l’idea di un tessuto sociale italiano corrotto, perché in altri Paesi eletti come ideali (spesso la Germania, a volte altri) ci sono meno imprenditori e pubblici amministratori sotto processo che in Italia. Nessuno specifica, però, se la causa sia la maggiore onestà diffusa, o anche la maggior prevedibilità della giustizia penale che gli ordinamenti di questi Paesi sono stati capaci di realizzare, contenendo l’eccesso di procedimenti penali, e così evitando il congelamento della spinta individuale a intraprendere, amministrare e contribuire alla crescita della società.

È una risposta che gli studiosi conoscono, e ho pensato fosse ormai doveroso sottoporla alla pubblica opinione.

Professore universitario

e avvocato

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