D opo l'immersione nell'opera ancora misteriosa di Dostoevskij, con la consapevolezza che il bene lotti quotidianamente col male non nel mondo esterno, in un palcoscenico manicheo, bipolare, ma proprio all'interno del nostro animo, nel terreno consacrato della nostra personale esistenza, ho letto un'intervista a Pupi Avati che ha spalancato la porta ai pensieri. Il regista e scrittore parlava di un “altrove” al quale si accedeva, nei cinema, quando si scostava il pesante tendone intriso di fumo. Un altrove che si è perso, nella cinematografia e in genere nell'arte italiana. (...)

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