Un Paese senza memoria
Ciriaco OffedduL 'eccesso d'informazione (in ogni caso preferibile alla mancanza d'informazione, a un'informazione selezionata e guidata dai detentori della verità e del pensiero unico, da una casta antropologicamente superiore, dai vincitori sui vinti di turno) porta un curioso effetto di rimozione della memoria. Il bombardamento cui siamo sottoposti quotidianamente, il consequenziale ottundimento di chi non riesce a filtrarlo, e l'idiosincrasia per i numeri permettono l'esplosione di affermazioni che, enucleate dal contesto di rumore, sarebbero degne di professionale sconcerto.
Così gli innamorati (per grazia ricevuta) dei partiti possono ancora ribadire la prevalenza della politica sul civismo, confondendo la Politica in maiuscolo col malaffare partitico in voga e le sue tragiche conseguenze. Chi ha distrutto la scuola può sbandierare l'esigenza inderogabile di una strategia nazionale di formazione e ricerca, affossate da tagli sistemici e decisioni che ex-post potrebbero sembrare solo balorde. Chi ha perseguito il ridimensionamento della sanità pubblica in favore di quella privata e delle assicurazioni può invocare, oggi, un grande piano (finanziato dall'UE) di aggiornamento dello sgangherato sistema sanitario. Chi ha trasformato lo Stato in un'abnorme macchina di assorbimento, dispersione e vessazione può vagheggiare un suo ruolo imprenditoriale, quale cavaliere vergine da colpe, l'Alitalia come esempio su tutti, e bellamente sorpreso dai risultati della delega d'interi settori industriali, affidati ciecamente ad approfittatori vari.
C hi ha combattuto ideologicamente l'impresa negandole persino le condizioni basilari (equa tassazione, infrastrutture moderne e adeguate, semplificazione burocratica e lotta feroce alla criminalità organizzata), oggi si sbraccia per un ritorno all'imprenditorialità più coraggiosa, come se il peccato originario sia emerso sempre dal basso (gli imprenditori comunque padroni, sfruttatori ed evasori, mai illuminati mecenati come invece le istituzioni), con la conseguenza paradossale che in questo Paese chi tenta disperatamente di “fare” finisce comunque dalla parte del torto.
Infine, non in termini esaustivi ma per chiudere un discorso che potrebbe toccare tutti gli aspetti della società civile e del nostro essere nazione, chi ha propugnato per anni il dominio spietato della finanza (che cos'è l'Europa se non un mostro finanziario privo di radici storiche e religiose, incapace di politiche efficaci e utili, pensiamo a quella estera, se non di contenimento e controllo finanziario), oggi può svegliarsi chiedendo un deciso intervento sull'economia nazionale, quand'era ben facile comprendere, anche ieri, che la trasmissione virtuosa non va dalla finanza all'economia - si veda il Quantitative Easing di Draghi e oggi di Lagarde - ma il viceversa.
Come può vivere e progettare il proprio futuro una nazione con l'economia in ginocchio, in disfacimento, puntellata solo da debiti verso l'estero, da disegni cervellotici di finanza sempre più opaca e creativa, da continui rilanci in avanti che impatteranno non solo sui nostri figli, ma anche sui nipoti?
Diamo tempo alla prossima tempesta sui mercati e coloro che l'hanno massacrato non avranno vergogna a richiamare gli scritti di Federico Caffè, e a invocarne il rigore incolpando, ovviamente, il popolo italiano spendaccione e indisciplinato.
Oppure no, tutto sarà lasciato alla deriva naturale di un sistema malato terminale, se il disegno sotteso è quello di un Sud Europa asservito alle mire di una lega tedesca, e di una società guidata da un'élite di “Illuminati di Baviera” su una massa di indifferenziati e intercambiabili sottoproletari, come già avvenuto per la Grecia. Il tutto nel massacro sempre più devastante di una classe media portatrice d'idee, di cultura, d'impulsi imprenditoriali e spinte di miglioramento («La borghesia è la base della liberal-democrazia; quando va in crisi, tutto, compresi i valori, si deteriora», Petros Markaris).
Il dubbio è che si continuino sottilmente a minare i principi democratici su cui poggia il nostro Stato per agevolare una transizione verso un regime sovraordinato di tipo DDR, Repubblica Democratica Tedesca, di triste e non lontana memoria: il pendolo della storia si è rimesso in movimento?
Insomma, tra squilli di tromba, annunci mirabolanti e passi di fox-trot di un governo che si regge solo sulla paura di democratiche elezioni, è possibile conoscere quale idea di Italia si persegua? Come possono chiederci unità, partecipazione e motivazione quando manca una visione e s'ignora addirittura la direzione di marcia, l'obiettivo? Siamo un'armata Brancaleone o una tradotta di prigionieri diretta a Nord-Est?
CIRIACO OFFEDDU
MANAGER E SCRITTORE