L 'Italia vista in controluce: un sistema politico smantellato, che, fondato su principi condivisi, cercava dal 1946, seppur ancora giovane, di diventare stabile, solido. Un sistema industriale sventrato dall'ideologia imperante anti-impresa, dal predominio del funzionario e del bancario, da una tassazione folle come una malattia auto-immune che attacca il lavoro e non i risultati, infine affossato dalle incoerenze dell'Europa del dopo Lisbona. Una devastante perdita di sovranità, quest'ultima regalata dall'Italia all'UE senza neanche il ricorso a una votazione popolare (impedita dal cavillo giuridico dell'articolo 75 della Costituzione, che vieta espressamente di svolgere un referendum che abbia come oggetto i trattati internazionali), cessione che funziona ormai come una perfetta gabbia. Mai come in questo momento l'Italia avrebbe infatti bisogno di stampare moneta per riemergere, e mai come adesso siamo condannati a seguire politiche comunitarie obsolete e ingiuste.

Con questi accreditamenti noi celebriamo una vittoria storica, l'ottenimento di circa 200 miliardi, di cui un'ottantina a fondo perduto, che vedremo, si dice, tra il 2021 e il 2027. “Finalmente un'Europa solidale” si scrive, “finalmente una vittoria dell'Italia”.

Ovviamente, in questo film dal sapore hollywoodiano, si trascurano alcune componenti discordanti. Intanto, negli ultimi sette anni, dal 2014 al 2020, l'Unione Europea ha già distribuito 643 miliardi di euro a fondo perduto, quali fondi strutturali e d'investimento.

L 'Italia ne ha avuto in dote 75 miliardi, seconda dopo la Polonia. A fine 2019, ultimi dati disponibili, l'Italia aveva speso solo il 35% dei fondi disponibili, e solo il 73% era stato teoricamente allocato. La media europea era dell'85%. Il nostro Paese è al fondo della classifica di spesa in ogni ambito. Ad esempio, solo il 6% dei progetti di sviluppo regionale è stato concluso, il 4% non è stato mai avviato, l'1% è stato liquidato, mentre la grossa parte, l'89%, è in itinere con incerti destini. Di quanto ottenibile, sono dunque a rischio circa 49 miliardi. Colpa delle Regioni, si controbatte, non del governo, ma rimane la pochezza del nostro sistema, che sta portando a disperdere un patrimonio in termini di economia, occupazione e indotto.

La seconda dimenticanza riguarda le modalità di raccolta dei miliardi del Recovery Fund. Partiamo da un dato: nel bilancio comunitario questi soldi non ci sono, il Recovery Fund semplicemente non esiste. Come si dovrebbe sapere, le risorse proprie dell'Unione Europea sono le principali fonti di entrate per il proprio bilancio (che deve essere tassativamente a pareggio: le spese annue non possono superare le sue entrate). Sono oggi previsti tre tipi di risorse proprie: tradizionali, che comprendono principalmente i dazi doganali sulle importazioni verso l'UE; quelle basate sul trasferimento di una percentuale della base imponibile IVA di ciascun Paese; e quelle ancora basate sul trasferimento di una percentuale del reddito nazionale lordo (RNL) di ogni nazione. Quest'ultima è la principale fonte di entrate, circa il 72%, quando inizialmente si pensava fosse una fonte provvisoria e marginale. Altre entrate sono allo studio, ma si è ben lontani da un accordo.

Al momento nessuno sa come saranno raccolti i 750 miliardi del Recovery Fund - si parla genericamente di emissioni obbligazionarie future -, non sono state discusse le normative di distribuzione e neppure i meccanismi di controllo. La narrazione propinataci vede l'Italia ricevere soldi in regalo dagli stati “frugali” nel nome della solidarietà europea, quando invece i trattati sono quelli che sono e gli articoli impediscono qualsiasi trasferimento di denaro. E il ricorso al mercato avverrebbe comunque sulla base di garanzie fornite pro quota dai singoli stati.

A fronte di questo gigantesco gioco finanziario delle tre carte (non si produce economia e ricchezza ma si pagano percentuali varie all'UE e si prestano garanzie per avere di ritorno un po' di soldi raccolti a prestito sul mercato), noi possiamo vantare meccanismi e sistemi di stampo ottocentesco e una burocrazia che, contribuendo per una quota abnorme al nostro PIL come parte della Pubblica Amministrazione, può essere toccata solo con gravi contraccolpi. La strada d'inefficienza e di disfacimento ci sta portando diritti al baratro, ma allegramente, spensieratamente, come piace a noi.

CIRIACO OFFEDDU
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