L 'ineffabile leggerezza del chiedere soldi a prestito o a fondo perduto (faccio echeggiare, non a caso, Milan Kundera tra le pieghe della finanza) è diventata, in Italia, una strategia in se stessa, anzi “la” strategia. Prima dello schiudersi primaverile della visione aerostatica di Colao, sospesa sopra i nostri vincoli e limiti, e pubblicata dalla solita manina malandrina che sembra accanirsi contro il nostro Conte, l'idea forte d'Italia (immaginate una copertina vintage della Domenica del Corriere) è stata quella della mano tesa a richiedere Eurobond all'Europa, ricordate?

Nessuno ha visto i 400 miliardi di “potenza di fuoco” messi in campo dal governo, “liquidità immediata disponibile per le piccole, medie e grandi imprese”, una mossa storica e risolutiva, alla Churchill, e l'unica discussione che potesse superare persino l'intensità quotidiana del bombardamento da coronavirus si è dipanata tra Eurobond, Coronabond e, ultimamente, Mes e Recoverybond. Sui rapporti con l'UE potrei citare ancora Kundera: “Voglio che tu sia debole, tanto debole quanto lo sono io”, ma non sarei del tutto giusto. In realtà si è affacciata anche la geniale strategia interna dello Stato imprenditore.

S ì, lo Stato che tante prove di sé ha esibito (dalla gestione dell'Alitalia a quella delle mascherine), diventato improvvisamente l'asso nella manica per risolvere le innumerevoli problematiche da esso stesso provocate - si veda l'Ilva, una per tutte. Per il resto, un crudele silenzio che ha attraversato questi mesi che avrebbero dovuto essere di riflessione, di progettazione, una rara occasione per impostare il nuovo Paese.

Invece niente, nessun piano, e sembra in fondo che l'Italia, l'Italia del popolo, della gente comune, non esista se non quale crogiolo instabile di movimenti di piazza, dei quali si anticipa, per mettersi alla cappa, la connotazione reazionaria. Mesi buttati a convincerci che la perfida Europa stava cambiando pelle e che ci avrebbe riempito di miliardi a fondo perduto, subito, oggi, senza alcuna condizione e fronti del no. E articoli subliminali tesi a sostenere che il Mes è imprescindibile, è la soluzione, e anche un motivo di allineamento all'Europa, giacché sino a poche settimane fa gli stessi ci raccontavano che tutti gli Stati in crisi lo avrebbero richiesto (oggi sembra che solo Cipro sottoscriverà la richiesta). La domanda si dovrebbe pertanto ribaltare: ma davvero pensiamo di far chiedere all'Italia l'accesso al Mes mentre nessun altro Paese europeo ritiene di compiere questo passo? E soprattutto, ritornando a parlare di strategia e non di strumenti, come scrive Alfredo D'Attorre su Huffington Post: «Con un prestito una tantum non si può finanziare in maniera strutturale un piano di rafforzamento della sanità pubblica, esattamente per lo stesso motivo per il quale con il Recovery Fund, come detto dallo stesso ministro Gualtieri, non può essere finanziato un taglio stabile delle tasse (delle due l'una). Se aumentiamo il numero degli studenti e le borse di specializzazione, se assumiamo, se innalziamo gli stipendi al personale, non possiamo certo farlo con risorse che ci vengono prestate una tantum nell'arco di due anni e che poi dovremo restituire. Al termine dei due anni di erogazione del MES sanitario, che facciamo? Rimandiamo a casa quanti abbiamo assunto con quelle risorse?».

Dare centralità alla finanza e non ragionare sull'economia è grave, pericoloso. Io continuo a credere che l'Italia possa salvarsi se viene meno il disegno neostatalista di distruzione delle piccole e medie imprese e in genere dello spirito imprenditoriale, se si riprende in mano la disciplina della buona gestione e si valorizza il patrimonio italiano invece che svenderlo, se soprattutto si combattono sprechi e parassitismi per dirottare le risorse alle imprese e alle famiglie, se intanto si sospendono le tasse.

CIRIACO OFFEDDU
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