L eggo “Dove: la dimensione di luogo che ricompone impresa e società”, di Venturi e Zandonai, (Egea 2019), e mi colpisce perché ritrovo una serie di considerazioni che da qualche tempo andavano affollandosi senza trovare una sintesi. Dice la presentazione: «I luoghi, una dimensione di vita sociale, politica ed economica che sembrava perduta o indebolita con la globalizzazione. Non è così: l'unico modo di cavalcare il cambiamento è partire dal “dove”, vale a dire dai luoghi dove si fanno comunità e relazione».

Dissento con la visione d'insieme che dà il merito di quanto sta avvenendo alla stessa globalizzazione, senza chiarire che quello che ribolle è proprio una disperata reazione a fenomeni tendenti a cancellare la specificità del “dove”. Non concordo con il velleitarismo che racconta di «diffuse sperimentazioni e di florilegio d'iniziative» (non esageriamo) per «cavalcare il cambiamento», quando la realtà è diversa e la posta più alta. È in gioco la nostra identità e la nostra cultura, quindi la nostra sopravvivenza come esseri liberi e pensanti e non come formiche economiche.

Mi suscita perplessità che non si parli dell'attacco del neo-liberismo che persegue un'uguaglianza di sottoproletari dominati da un'oligarchia di pseudo-illuminati, e addirittura si citino esempi che non sono altro che il portato di una politica di globalizzazione calata sul locale. Purtuttavia, la trattazione pone l'accento sull'importanza della dimensione territoriale e comunitaria, sulla necessità della rigenerazione dei luoghi, della partecipazione e della coesione. (...)

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