F u arrestata, alla frontiera: in Italia il divorzio non c’era, le relazioni adulterine costavano il carcere (alle donne) e per lasciare il marito era scappata, con la figlia avuta a 17 anni, prima del matrimonio, uno scandalo nel 1962.

Errore imperdonabile. Finì davanti a un giudice che le tolse la patria potestà: era un’attrice, dunque faceva un lavoro di “dubbia moralità”. Che dolore quello strappo. Eppure abbiamo visto Catherine Spaak bella, sorridente, elegante nei film che hanno fatto la storia del nostro cinema.

L a voglia matta, Il sorpasso, L’armata brancaleone, per citarne giusto tre. Era libera in un’epoca in cui per esserlo bisognava lottare e soffrire e rinunciare, perfino lei, che non riusciva a recuperare quello che - diceva - “un magistrato aveva rovinato”.

Avrebbe potuto vivere tra gli agi di una famiglia benestante francese invece aveva scelto di seguire i suoi sogni in Italia, indicando alle altre una strada, senza saperlo e, forse, neanche volerlo. Si era dedicata al teatro, lanciata nella musica, confrontata con la tv, sempre con successo. Nella vita privata il cuore aveva ripreso a battere con Johnny Dorelli e Gabriele, il figlio avuto dal grande cantante. A quale prezzo, però: lui non voleva che lavorasse, “ce n’è già uno e basta”. Quanti uomini lo hanno detto a quante donne. E così l’anoressia l’aveva portata in analisi: problemi di salute gravi, carriera a rischio. Eppure aveva saputo sopravvivere a se stessa costruendo un’altra vita, un nuovo matrimonio, e poi ancora, il quarto sì, che solleticava il gossip per l’età, quella di lui, diciotto anni meno di lei. Se fosse stato il contrario chi se ne sarebbe accorto? Alla sorella Agnès, quasi una gemella, separate com’erano da soli undici mesi di vita, ripeteva: “Non bisogna mai essere troppo generose ma pensare al rispetto di se stesse”. Ricordiamocelo davanti agli uomini che urlano, pretendono, umiliano, maltrattano: il rispetto per noi stesse ci porta subito lontano. Lontano.

Intanto sperimentava, dalla macchina da presa era passata alla telecamera, e in tv aveva firmato due successi che resteranno a lungo: Forum ma, soprattutto, Harem. Una trasmissione gentile di chiacchiere fra donne che in realtà riflettevano i tanti libri letti dalla conduttrice-autrice offrendo uno spaccato di vita contemporanea, senza le urla e il caos dei talk show venuti dopo. Non a caso è andata avanti per quindici anni, il sabato in prima serata, su Raitre, raggiungendo traguardi impensabili davanti alla concorrenza delle reti più attrezzate. Dovremmo andare a rivedere quel salotto e gli interventi di ospiti come Catherine Deneuve, Claudia Mori, Isabel Allende, Franca Valeri, Monica Bellucci mentre un uomo misterioso dietro un paravento ascoltava discorsi su emancipazione, omosessualità, sguardo maschile.

Lo hanno chiuso quel programma raffinato, chissà perché, o forse è troppo chiaro: la gentilezza non fa parte del nostro mondo, non più, meglio i reality pieni di parolacce e insulti in mezzo a una grammatica terribilmente creativa, utili a rimbecillire e indicare un nuovo stile di vita, che vediamo replicato dappertutto, sui social o in fila al supermercato o nel traffico delle città o sugli spalti di un campetto dove giocano i bambini, ovunque.

Ha vissuto come ha voluto Catherine Spaak e oggi la sorella quasi ci rincuora nel dirci che negli ultimi tempi, di nuovo single, si era rappacificata con la figlia, dopo quarant’anni, e che Sabrina è stata vicina alla madre colpita da un ictus, durante il lockdown.

Anche nel finale ci ha voluto lasciare qualcosa, molto più di un regalo: è andata in tv, il volto gonfio a causa dei farmaci, il sorriso di sempre, la erre arrotata, i capelli biondi raccolti in una piccola coda, le scarpe col tacco. Rosse. E ha raccontato di come un giorno si fosse risvegliata in ospedale, cieca, le gambe bloccate, e poi la riabilitazione faticosa, e il bellissimo ritorno alla vita. Parlava con semplicità, non cercava commiserazione, metteva soltanto la sua esperienza a disposizione di tutti. Viene da guardarlo e riguardarlo quel filmato. Ora che non c’è più.

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