P er combattere la ripresa dell’inflazione nell’Unione europea, giovedì scorso la Bce ha deciso di aumentare di 50 punti base (0,5%) i tassi di riferimento della politica monetaria. Di conseguenza, il tasso sul rifinanziamento principale è passato dallo zero allo 0,5%, mentre quello sui depositi del sistema bancario presso la Bce è salito da -0,5% allo 0%, ponendo così fine alla stagione dei tassi d’interesse negativi. La politica della Bce mira a ricondurre l’inflazione nell’Ue verso il suo obiettivo di medio periodo del 2%.

I n Italia, dai dati Istat, si rileva che a giugno l’inflazione ha accelerato di nuovo rispetto ai mesi precedenti, salendo a un livello (+8%) che non si registrava da gennaio 1986, quando fu pari a +8,2%. Le tensioni dei prezzi continuano a propagarsi dal comparto energetico agli altri comparti merceologici, nell’ambito sia dei beni, sia dei servizi. Al netto dei beni energetici e degli alimentari freschi, la componente di fondo dell’inflazione è pari a +3,8%. Inoltre, al netto dei soli beni energetici (+4,2%), si registrano comunque aumenti che non si vedevano rispettivamente da agosto 1996 e da giugno 1996. L’insieme di questi dati ci dice che l’inflazione in Italia ha ripreso a crescere con vigore, soprattutto a causa della spinta dei costi (in particolare quelli energetici), ma molto di meno per la spinta della domanda aggregata.

Secondo il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, il peggioramento delle ragioni di scambio e la perdita di potere d’acquisto causati dai rincari dell’energia tenderanno a contenere la domanda finale nell’area dell’euro, attenuando in tal modo le pressioni sui prezzi. Tuttavia, sia il rischio che le aspettative d’inflazione di lungo termine aumentino su valori maggiori del 2%, sia quello che si avvii una rincorsa tra prezzi e salari vanno tenuti sotto attenta osservazione. Oggi le aspettative d’inflazione sugli orizzonti più lunghi non si discostano significativamente dall’obiettivo del 2% annuo. Le ultime previsioni delle maggiori istituzioni internazionali e degli analisti privati concordano con quelle dell’Eurosistema, indicando che la crescita dei prezzi nell’area euro si manterrà elevata quest’anno, per poi flettere in modo deciso nel 2023 e tornare successivamente attorno al 2 per cento.

Secondo Visco, il possibile avvio nell’area dell’euro di una spirale tra prezzi e salari è un secondo rischio, non indipendente dal primo, che va attentamente monitorato. Anche se la dinamica delle retribuzioni nell’area è rimasta sinora moderata, sarebbe incauto limitarsi a osservare gli andamenti più recenti senza interrogarsi su quello che potrebbe accadere in futuro. A questo riguardo diverse ragioni portano a ritenere che l’avvio di una spirale prezzi-salari sia meno probabile che in passato. Tuttavia, occorre chiarire che aumenti dei salari richiesti e concessi sulla base delle variazioni della produttività o comunque dove i margini di profitto lo consentano, non creano problemi sul fronte dell’inflazione. Incrementi delle retribuzioni che, invece, mirano a recuperare “meccanicamente”, in modo automatico, gli aumenti dei prezzi (come, ad esempio, il meccanismo della scala mobile) si rivelano vani, perché innescano, a loro volta, ulteriori rialzi dell’inflazione.

Infine, negli ultimi mesi abbiamo assistito a un progressivo materializzarsi del rischio di frammentazione dei mercati. Il marcato aumento degli spread sui titoli di Stato registrato in Italia, soprattutto negli ultimi giorni dopo la crisi del governo Draghi, e in Grecia, ma anche, in misura più contenuta, negli altri paesi d ell’area dell’euro è un segnale che desta preoccupazioni. Si tratta di tensioni che non sembrano essere spiegate dall’andamento del quadro macroeconomico. Per l’Italia, in particolare, le analisi della Banca d’Italia indicano che un livello dello spread, cioè il differenziale tra i rendimenti dei titoli decennali di Italia e Germania, inferiore a 150 punti base sarebbe giustificato dai fondamentali, mentre certamente non lo sarebbero livelli superiori ai 200 punti, come sta avvenendo dopo la crisi del governo Draghi.

© Riproduzione riservata