Al mercato dei conduttori
S embra la campagna acquisti che siamo abituati a vedere nel calcio. Con una differenza: lo sport ci porta a lamentarci se uno parte e a festeggiare se l’altro arriva, qui invece vale solo la prima ipotesi. Come se chi va via lasciasse un vuoto incolmabile. Non è solidarietà per chi perde il lavoro, visto che nessuno resta a terra, nè i conduttori nè la squadra di autori-produttori-etcetera: traslocano tutti insieme, e tutti insieme lavoreranno altrove. Insomma, li rivedremo, basterà pigiare un tasto diverso sul telecomando. Che sarà mai?
P erò il problema c’è, ed è fondamentalmente uno: non siamo semplici spettatori. Davanti al calciomercato ci accomodiamo in poltrona e, da tifosi, vediamo che succede arrabbiandoci o rallegrandoci: quando si tratta di televisione no. Semplicemente perché la Rai è un po’ nostra: non si tratta di sentimentalismi, scomparsi, se c’erano, da tempo, ma di una questione economica: paghiamo ogni mese il canone, e questo cambia tutto. Per questo guardiamo agli avvenimenti delle ultime settimane con lo sguardo di chi è in qualche modo coinvolto nelle operazioni, pure quelle milionarie, sul trasferimento dei conduttori. Se ci piacciono vogliamo che restino. Poi ci sono pure persone che vogliono che restino anche se non piacciono, vive la difference.Se questo è il punto di partenza colpisce moltissimo quel che registriamo subito dopo: l’esodo è solo da una parte, la fuga è dalla Rai, in particolare Rai Tre: Fabio Fazio, Lucia Annunziata, Massimo Gramellini, Maurizio Mannoni e, ora, Bianca Berlinguer che osa fare il grande salto e approdare a casa del nemico giurato. Ma è davvero così? Il balzo è di quelli che sorprendono e sconcertano? Certo, fa impressione: la figlia dello storico segretario del PCI volto di punta delle reti berlusconiane. Ma succede solo se continuiamo a ragionare con gli schemi di vent’anni fa quando i due mondi, televisivamente parlando, erano agli antipodi. Quel tempo è finito. Gli approfondimenti giornalistici - a parte rare eccezioni – hanno progressivamente lasciato spazio a talk show dove l’urlo e l’invettiva garantiscono gli ascolti: le parole che racchiudono un pensiero non bastano più, quel che vale è lo share. Ed ecco le liti che finiscono sui social e poi sui giornali e da lì di nuovo in tv in un giro infinito che nessuno sa (o vuole) fermare. La tv privata ha contaminato quella pubblica, e oggi bisogna andare a cercarle le differenze. Non è solo una questione di programmi trash, la volgarità è diffusa. Eppure, una sorta di resistenza al brutto che avanzava c’era e la suddivisione politica – lottizzazione - delle tre reti Rai, la prima ecumenica appannaggio di chi governa, la seconda orientata sul centrodestra, la terza progressista, proponevano programmi che nel bene o nel male soddisfacevano la variegata platea di telespettatori. Questo oggi all’improvviso sembra saltare, e chi ne è convinto abbandona prima che gli diano il benservito. Non c’è stato alcun editto bulgaro come quello che aveva cacciato in un solo colpo Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi, lo scenario attuale è diverso, ma è pur sempre legato alla politica, che cambia. Qualcuno è andato via perché il contratto era in scadenza e nessun dirigente lo ha cercato (Fazio) e comunque il mercato lo chiamava; un’altra perché non si sentiva più a suo agio (Annunziata); gli ultimi (Berlinguer, Mannoni) si sentivano all’angolo o sperano di trovare spazio altrove. L’azionista che è in noi guarda, ascolta e critica la “sua” Rai. Anche perché Tv Nove si rafforza e altrettanto sembra fare Mediaset: al grido di “più informazione, meno tras h” acquista anche Myrta Merlino (da La7) e perde la regina del pomeriggio Barbara D’Urso. Che si sente se non epurata, di sicuro maltrattata, anche perché il ciao è stato preceduto da una chat di insulti sessisti. E noi non possiamo tacere: meglio il trash delle frasi becere a uso interno. O no?