«Attendiamo un cessate il fuoco completo e duraturo, a partire da domani, per fornire la base necessaria alla diplomazia. Non ha senso prolungare le uccisioni. E aspetterò Putin in Turchia giovedì. Personalmente. Spero che questa volta i russi non cerchino scuse». Lo ha scritto su X Volodymyr Zelensky. La fine del conflitto con Mosca, dunque, pare passare per Istanbul dove il Sultano ha ripreso in mano i fili e si è riproposto come il grande tessitore della pace in Ucraina. Ad annunciarlo è stato lo stesso presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, che afferma di aver ricevuto la proposta dallo zar Vladimir Putin al telefono: «I colloqui di pace tra Russia e Ucraina proseguiranno a Istanbul» dal 15 maggio, «partendo da dove si erano interrotti», nel marzo del 2022. «Colloqui diretti» che non ci sono più stati da allora e che, nelle speranze di Ankara, possono portare «a una svolta», «a una soluzione permanente» al conflitto.

Una «opportunità che deve essere colta». Un'opportunità che Erdogan attendeva da troppo tempo e che gli permette nuovamente di giocare le sue carte come potenza regionale, ma in un quadro geopolitico mutato rispetto a tre anni fa. Allora, in marzo fallirono i colloqui diretti russo-ucraini di Antalya, senz'altro prematuri dopo un solo mese di guerra. Ma in luglio fu imbastito a Istanbul lo storico accordo sul grano del Mar Nero (poi disdetto da Mosca un anno dopo), sotto l'ombrello Onu e Usa, che consentì di ripristinare il traffico di navi mercantili cariche di grano e sementi dai porti ucraini (e in parte anche russi) attraverso il Bosforo e i Dardanelli, sotto la supervisione turca, mettendo fine a una crisi alimentare globale. Il ruolo di Ankara prese slancio e la Turchia mediò diversi accordi per scambi di prigionieri fra Kiev e Mosca. I canali diplomatici, poi, si seccarono.

Le carte in mano al sultano sono sostanzialmente le stesse di allora, e ne fanno una delle poche figure plausibili: non del tutto neutrale, ma in equilibrio. La Turchia è infatti membro della Nato e da decenni aspira ad avvicinarsi, se non ad aderire all'Unione europea. Ha rifornito in abbondanza l'Ucraina di armi e di droni da combattimento nelle prime fasi della guerra. Ma Erdogan ha anche buoni rapporti con Mosca: Putin lo ritiene un amico e lui si è guardato bene dall'aderire alle sanzioni occidentali contro la Russia, continuando a trasportare il gas e il petrolio russi attraverso il suo territorio. Rapporti di buon vicinato con entrambi i belligeranti, mantenuto con delicati equilibrismi.

La scorsa estate il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, disse come una mediazione turca al conflitto fosse «impossibile», probabilmente cavalcando l'onda delle lente ma inesorabili avanzate russe sul terreno nel Donbass e altrove. Ma oggi, 10 mesi dopo, è entrato in scena un attore nuovo: Donald Trump, che ha gettato tutto il suo peso politico su questa come sulle altre guerre che sconvolgono il globo. E Mosca sente i riflettori globali puntati su di sé, la palla è tornata sul suo campo. Perché non dare di nuovo una possibilità all'amico-rivale? Un modo come un altro per salvare le apparenze, e forse prendere tempo. Ma l'amico Erdogan ha dimostrato di poter cogliere le sue opportunità.

(Unioneonline)

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