Stando a quanto divulgato dagli organi di stampa, l’astensione dell’Italia dal voto sulla risoluzione presentata dai Paesi arabi per un cessate il fuoco nella striscia di Gaza, durante l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, sarebbe stata ispirata dalla mancanza di una condanna esplicita all’attacco sferrato dal movimento islamista palestinese di Hamas contro Israele, il giorno 7 del corrente mese di ottobre appena trascorso.

Tale sarebbe la spiegazione sulla posizione italiana sostenuta dall’ambasciatore Maurizio Massari, rappresentante permanente d’Italia all’Onu, nel contesto del suo intervento conseguente alla votazione.

Pur riconoscendo il «lavoro svolto dai Paesi arabi», questo impegno non sarebbe stato sufficiente a stimolare un intervento in senso adesivo del Paese Italia a favore della risoluzione per essere mancante, nel testo della medesima, «una chiara condanna alle azioni di Hamas».

Nulla quaestio, se solo non fosse che il “se” una motivazione di tale consistenza possa realmente ritenersi satisfattiva sul piano relazionale interno ed internazionale, e soprattutto coerente con il volgere ed il dispiegarsi delle situazioni e dei tempi, sarà solo il futuro prossimo a palesarlo.

Il dato, di fatto, parrebbe essere uno e uno soltanto: ossia quello per cui l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite avrebbe approvato, come nei fatti ha approvato, una risoluzione presentata dagli Stati Arabi, su iniziativa della Giordania, per l’ottenimento di una tregua nella Striscia di Gaza.

All’opposizione degli Stati Uniti hanno fatto da contraltare i centoventi voti a favore, i quattordici contrari, e le quarantacinque astensioni tra cui, appunto, quella italiana.

Se tali sono le circostanze, forse, non sarà superfluo, e probabilmente neppure inutile, porre taluni interrogativi sulle eventuali conseguenze riconducibili alla espressione della posizione italiana tanto sul piano interno che su quello relazionale internazionale e comunitario strettamente inteso.

Di Triepel pare essere rimasto famoso il concetto e l’affermazione per cui «il diritto internazionale (dovrebbe) porsi come una forza collocata al di sopra degli Stati, nello stesso senso che ogni diritto interno (dovrebbe essere) una forza posta al di sopra degli individui appartenenti allo Stato (medesimo)» siccome, se così non fosse, «non sarebbe diritto».

Su tale premessa, ogni potenziale evento bellico verrebbe a proporsi nei termini di un contesto di “disordine” del tutto e per tutto contrapposto all’ordine di qualsivoglia dato normativo-relazionale. La circostanza, specie se considerata in rapporto agli eventi recenti, sembrerebbe apparire tutt’altro che trascurabile, e non solo sul piano squisitamente speculativo.

Intanto, perché la comunità internazionale nella sua interezza dovrebbe fare (e con la proposizione di quella risoluzione sembrerebbe averci provato) la sua parte nella regolamentazione e limitazione del “fenomeno-guerra”. Quindi, perché, nonostante il trascorrere degli anni rispetto ai conflitti che hanno segnato l’umanità recente, ancora oggi paiono riproporsi, siccome all’evidenza rimaste irrisolte, tutte le spinose questioni sulla eventuale “legalità” dell’uso della forza in ambito internazionale e sulle problematiche inerenti anche le operazioni per il cosiddetto “mantenimento della pace”. Dicendolo altrimenti: se è vero, come parrebbe essere vero, che, sul piano internazionale parrebbe esistere un obbligo di carattere generale sostanziantesi nella soluzione pacifica delle controversie, dall’altra, gli Stati sembrerebbero godere di piena autonomia nell’eligere gli strumenti che ritengano più massimamente opportuni per tale soluzione. Infine, perché pur non esistendo, in buona sostanza, alcuna regola generale che prescriva un “modus” univoco di soluzione pacifica, tuttavia sembrerebbe permanere intatto il dovere di rinvenire una qualsivoglia soluzione pacifica anche a prescindere dalle soggettività coinvolte nei diversi conflitti che di volta in volta ci si ritrovi a dover gestire.

Ma allora la decisione italiana, alla luce delle dinamiche relazionali internazionali, in quale posizione ideologica e strumentale può collocarsi? Quale significato riflette sul piano dei rapporti del Paese rispetto al conflitto? Non sarebbe stato maggiormente opportuno giungere al rinvenimento di una visione generale di quello che appare essere il fenomeno in concreto considerato, per addivenire, univocamente, e anche a prescindere dalle specifiche spigolature ad una soluzione concordata ed univoca di tregua umanitaria?

Laddove non si fosse ancora compreso parrebbe oltremodo chiaramente essere intervenuto un autentico mutamento del ruolo della comunità internazionale, la quale parrebbe aver perduto la sua posizione apicale di indirizzo politico e comportamentale. Mutamento che, rispetto all’attuale evolvere del tempo, parrebbe apparire (il condizionale è pur sempre doveroso) pienamente giustificativo della posizione dell’Onu per essere direttamente riconducibile alla trasformazione in divenire continuo e persistente tra il pregresso ed il moderno “trend” della comunità internazionale, venutosi ad ingenerare in conseguenza della caduta della “prospettiva bipolare” con conseguente discussione critica su di essa, e delle problematiche riconnesse.

Nel contesto, assai complesso, forse, il faro da seguire dovrebbero essere le parole di Papa Francesco, il suo invito accorato a fermare «gli attacchi di armi» perché «il terrorismo e la guerra non portano ad alcuna soluzione, ma solo alla morte di tanti innocenti», «la guerra è una sconfitta».

Anche a tutto voler considerare, non parrebbe giovare ad alcuno mostrare perplessità in merito alla potenziale desuetudine degli strumenti di cui il diritto internazionale dispone per gestire la comunità internazionale rispetto alla quale, all’evidenza, sembrerebbe porsi una necessità differente: ossia quella di riscrivere presupposti e fondamento di un contesto giuridico che necessita, forse oggi più che mai, di ricollocarsi sul piano teleologico per poter disciplinare situazioni e soggetti statali altrimenti difficilmente regolamentabili.

Ad oggi l’Italia, con la propria decisione astensiva, parrebbe collocarsi in una sorta di “limbo”, diversamente interpretabile a seconda dei punti di vista. Parrebbe campeggiare una considerazione di fondo su cui riflettere: considerata l’invocazione di Papa Francesco, forse aderire alla risoluzione Onu avrebbe potuto assumere un significato importante e deciso nel contesto geo-politico per esprimere una posizione netta rispetto all’esigenza di favorire ogni percorso utile al conseguimento della cessazione di un conflitto che rischia di compromettere in maniera irreversibile i rapporti di forza tra le nazioni.

Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro

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