Tony Blair non sarà indagato per aver portato il Regno Unito a combattere in Iraq nel 2003, a meno che non emergano prove "nuove e rilevanti".

È la decisione della Commissione parlamentare britannica, incaricata di indagare sulle circostanze che avevano portato all'invasione del Paese del Golfo assieme alle forze statunitensi.

Il caso è stato riaperto, a più di un decennio di distanza, dopo la pubblicazione nel 2016 del cosiddetto "rapporto Chilcot": un dossier di documenti segreti che, secondo chi l'ha redatto, dimostrerebbe che Blair aveva volutamente mentito agli inglesi.

Nel mirino, in particolare, c'è una nota inviata all'allora presidente Usa George W. Bush. "L'intervento militare è azzardato - scrive l'ex inquilino di Downing Street - ma sono certo che sarà un successo politico". E ancora, "I will be with you, whatever" (Sarò con te qualsiasi cosa accada).

Blair, a pochi anni dal conflitto che portò alla caduta di Saddam Hussein, aveva ammesso che le prove fornite dall'intelligence per giustificare la guerra - come la presunta presenza in Iraq di armi chimiche - erano state "equivocate" e si era scusato per le conseguenze della sua decisione.

Ma, secondo la Camera dei Comuni, gli elementi per ora a disposizione non sono sufficienti per incriminarlo. Non si esclude però la riapertura di un'indagine "nel caso in cui dovessero comparire nuovi materiali".
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