Qatar gate: laddove effettivamente sussistente, sarebbe un fatto puro e semplice di corruzione sistemica diffusa o meno, e in varia misura, tra i diversi Paesi liberal-democratici, oppure un’anomalia del sistema politico sovra-nazionale, oppure ancora un’ipotesi di responsabilità individuale di taluni singoli coinvolti nella vicenda?

Nei giorni scorsi, lo si è appreso dai media, sembrerebbe essere stato scoperto “un gruppo indeterminato e molto ampio di persone” dedito alla “consumazione” di “fatti di corruzione” e che avrebbe operato all’interno di “strutture europee con o senza legami con l’Unione Europea”.

La circostanza, ferma restando la necessità di conoscere l’esito delle indagini dell’Autorità competente in corso di esecuzione, il cui solo epilogo, evidentemente, potrà far luce sulla sussistenza ed effettiva consistenza di un “fenomeno” che negli ultimissimi tempi sembra essere sopraggiunto a determinare il turbamento della serenità delle Istituzioni europee, parrebbe presentarsi in tutta la sua gravità, specie per essere emerso in uno dei momenti più complessi, sul piano economico e sociale, della vita dell’Unione.

Se si trattasse, ed il condizionale è oltremodo doveroso quando i termini del ragionamento non possono che essere ipotetici ed eventuali, di un fenomeno sistemico, e se, in quanto tale, fosse a tal punto radicato da essere riuscito a condizionare l’andamento dell’apparato burocratico e partitico sovra-nazionale, allora il pericolo sarebbe quello di trovarsi dinanzi ad una “matassa” assai difficile da “dipanare”, per la semplice quanto dirimente circostanza che, quanto più quel fenomeno fosse diffuso e radicalizzato (ed il ragionamento si pone solo ed unicamente nei termini argomentativi-ipotetici), allora ancor di più sarebbe portato ad operare sotto-traccia sotto l’apparenza di un “modus-operandi” quasi consueto e per ciò stesso di difficile percezione pratica. Laddove, invece, si trattasse di un’anomalia del sistema politico e partitico sovra-nazionale, considerato nella sua complessità strumentale, la circostanza verrebbe percepita dalla collettività nei termini di una crisi profonda di quello stesso sistema partitico e del rapporto di reciproca fiducia che dovrebbe permearne l’agire nel migliore interesse comune, con ogni conseguenza sul piano dell’affidamento e della credibilità. Allorquando, invece, si trattasse o si volesse considerare quel tanto chiacchierato fenomeno, come un “fatto individuale”, circoscritto al solo agire dei soggetti specificatamente coinvolti, parendosi vertere in una ipotesi di “scambio volontario” di risorse, allora, probabilmente, la questione, lungi dall’investire l’eden istituzionale “unionale”, si porrebbe nei termini di un isolato e circoscritto “errore umano” incoraggiato dalla posizione istituzionale un tempo rivestita oppure attualmente rivestenda degli interessati che poco o nulla parrebbe inferire coi i singoli partiti di riferimento e con le loro ideologie e/o attività. Detto diversamente, ed intendendoci sul punto: a seconda dell’inquadramento che si dovesse decidere di imprimere alla vicenda, cambierebbero i termini del ragionamento che si sarebbe indotti a condurre.

Parrebbe essere il metodo, alla lunga, a contribuire a svelare quello che appare agli occhi della generalità dei consociati alla stregua di un arcano. E la complessità metodologica dell’indagine, anche a tutto voler considerare, parrebbe risiedere proprio nell’incrocio delle informazioni acquisite ed acquisende, nella valutazione attenta e dettagliata delle fonti, nella conseguente formulazione di ipotesi ricostruttive che siano quanto più possibile verosimili nella loro consistenza conoscitiva sostanziale. Ancora intendendoci, pertanto, su un altro aspetto: sembrerebbe apparire nella sua chiarezza che ogni fenomeno, corruttivo e non, possa essere dettagliatamente circoscritto e compreso solo nel momento in cui venga ad emersione, per qualsivoglia ragione, in tutta la sua estensione. E nel contesto, a fare la differenza, resta sempre e comunque il determinismo dei differenti meccanismi di controllo sociale e le risorse a disposizione degli organi giudiziari.

Nell’ipotesi del Qatar gate, taluni soggetti, individuati ed individuandi, sembrerebbero aver voluto mettere in discussione la propria “reputazione”, ossia un aspetto valoriale di carattere pregnante allorquando si scelga di rappresentare i cittadini ponendo il proprio operato al servizio delle Istituzioni, al solo fine di ottenere un vantaggio personale. Laddove quindi parrebbe presentarsi, quell’atteggiamento, sotto le forme della corruzione politica, acquisendo un carattere sistemico, o quasi, per non essere ancora conosciuta l’effettiva estensione del fenomeno, allora dovremo discorrere nei termini della “patologia” con ogni conseguenza sul piano percettivo comune.

Ma è giusto allora dubitare della validità di un’Istituzione, e delle regole anche dure che essa pone, e di ciò che la medesima rappresenta, sol perché taluno parrebbe averla disonorata con il proprio personale operato? Si può conoscere a priori il panorama valoriale di un soggetto per poterne considerare ex ante l’adeguatezza rappresentativa? Evidentemente no, fatta salva l’esistenza eventuale di precedenti di analogo tenore utili a fungere da elementi di “allarme”. Come pure non si può pretendere di estendere la responsabilità dei singoli all’intero partito di appartenenza in assenza di elementi utili a consentire siffatta estensione. La responsabilità penale è personale e in quanto tale va considerata e perseguita. Tanto più allorquando, il ruolo istituzionale, parrebbe aver costituito unicamente l’occasione dell’agire.

Occorrerebbe evitare, in buona sostanza, che il male-agire, da “fatto privato”, quale allo stato parrebbe essere nel caso in discorso, possa divenire, anche solo a livello percettivo comune, un “elemento strutturale del sistema politico”, giacché, in caso contrario, il salto dall’aspetto fisiologico a quello patologico sarebbe davvero breve con ogni conseguenza sul piano della tenuta sociale marcatamente considerata nei Paesi dell’Unione caratterizzati da maggiori difficoltà sul piano economico.

Se poi sia davvero possibile riuscire a spiegare il fenomeno Quatar-Gate solo alla stregua delle motivazioni personali del politico di turno a lasciarsi attrarre da guadagni facili, questo non è dato sapere, anche perché se il fenomeno fosse esteso, allora, di conseguenza, assumerebbe i caratteri di un’oggettività implicita che renderebbe superflua ogni differente indagine condotta sul piano delle singole volontà.

Quando la “reputazione” e la sua salvaguardia smettono di costituire un disincentivo alla violazione delle più elementari regole di condotta, allora ogni inibizione scompare. L’appello all’onestà sembra divenire e sembra essere divenuto uno sterile “organigramma linguistico” e diviene facilmente, e senza dubbio, semplice propaganda in assenza di esempi importanti provenienti dalle massime Istituzioni. E certamente non può pretendersi che siano solo i cittadini a dover rispettare le regole di condotta imposte.

L’unione Europea, come pure i singoli Stati, sembrerebbero aver bisogno, in questo momento, di far valere la propria sovranità ed autorevolezza se vogliono continuare ad esistere in quanto tali.

Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro

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