A raccontare a L'Unione Sarda la situazione incandescente del Venezuela, all’indomani del voto per l’elezione dell’Assemblea Costituente, è Rossana Miranda, italo-venezuelana. Classe 1982, in passato giornalista per il quotidiano El Nacional e la tv sudamericana Telesur, oggi è residente in Italia, dove lavora per alcune testate e dopo aver pubblicato alcuni libri, Hugo Chavez. Il caudillo pop e e Dissidenza 2.0 Storie di blogger da Cuba alla Siria.

Le chiediamo un parere sulle votazioni di dmenica scorsa per fare chiarezza sui numeri, vista la discordanza tra quelli ufficiali comunicati dal governo di Nicolás Maduro e quelli delle forze di opposizione.

Circolano cifre molto diverse sull’esito delle consultazioni, cosa c’è di vero?

"Il Consiglio Nazionale Elettorale ha comunicato una cifra intorno agli 8,4 milioni di votanti, per l’opposizione invece sono 2,4 milioni, ma non si sa quale sia il numero esatto perché ai seggi c’era pochissima gente e i giornalisti non hanno avuto accesso: dovevano essere lontani dai seggi almeno 500 metri, erano vietate telecamere e macchine fotografiche e soprattutto non era presente nessun osservatore internazionale, a differenza di quanto avvenuto in passato".

È significativo quest’ultimo elemento?

"Sì perché in passato, durante altre elezioni, ci sono sempre stati osservatori internazionali, ma quello di domenica è stato un voto relativo, c’erano solo candidati del governo, perché i requisiti richiesti per le candidature hanno impedito ai membri delle opposizioni di partecipare. Come a dire, il chavismo ha vinto, certo, ma in queste condizioni avrebbe vinto anche se fossero andate a votare solo tre persone".

Quali sono i punti più controversi della riforma costituzionale?

"Secondo Maduro l’obiettivo principale di questa riforma è “eliminare l’Assemblea Nazionale putrida”, così definita perché composta al 70% da quell’opposizione che ha vinto le elezioni legislative del dicembre 2015, nonostante già allora ci fossero state dure minacce da parte del presidente Nicolás Maduro. Questa riforma, quindi, vuole anzitutto togliere poteri all’Assemblea Nazionale e dare più poteri al presidente della Repubblica aumentandone gli anni di mandato, posticipare le elezioni presidenziali previste per il 2018, e far virare lo Stato in una direzione più socialista, con altre nazionalizzazioni. A questo proposito c’è una bozza che parla della proprietà privata, ma sono tutte voci, perché alla fine i candidati sono stati scelti solo ieri e le loro proposte sono piuttosto vaghe..."

Il contenuto vero delle riforme si capirà solo una volta insediata l’Assemblea?

"Nei discorsi elettorali dei vari candidati si parla di difesa della patria, di difesa dei successi in materia sociale ottenuti in questi anni di governo, di difesa della rivoluzione, ma in concreto non spiegano cosa davvero vogliano fare. Maduro ha voluto prendere questi candidati dalla società civile, però ci sono tanti rappresentanti del Partito Unico Socialista e membri della famiglia presidenziale, tra cui il figlio e la moglie del leader".

E gli organi d’informazione?

"In questi anni i media si sono da una parte autocensurati perché erano a rischio di sanzioni da parte dell’ente Conatel (Comisión Nacional de Telecomunicaciones), e già tanti giornali sono falliti o sono stati comprati da imprenditori legati allo Stato, col risultato che i media presenti adesso, cartacei o televisivi, sono oggi proprietà di personaggi in qualche modo legati al governo. Gli unici che ancora riescono a fare una cronaca obiettiva sono siti internet come La Patilla, Caraota Digital, El Estimulo, fatti da giornalisti licenziati a suo tempo per motivi politici".

E la stampa straniera?

"I giornalisti stranieri sono stati espulsi o gli è stato negato il visto, l’ultimo in ordine di tempo è stato l’addetto del New York Times, uscito dal Paese per un periodo di vacanza quando è tornato si è visto negare l’ingresso. C’erano organi si stampa come CNN, Le Monde e tanti altri media internazionali e oggi non ci sono più. E poi c’è il caso di Telesur, una televisione inventata nel 2006 da Chavez con l’idea di integrare l’America Latina con corrispondenti in tutta l’area, ma che oggi diffonde un’immagine del Venezuela che non dà conto del malessere, di manifestazioni di protesta o scontri, e anzi descrive un Paese in cui tutti convivono pacificamente. Gli unici a calcare davvero la mano sono i media americani, perché gli Usa hanno interessi economici nel Paese, e non a caso minacciano sanzioni contro il Venezuela".

Che scenari immagina per il futuro?

"La gente avrà una reazione sempre più violenta, di fatto i problemi sono molto concreti, non c’è cibo, niente medicine, acqua, elettricità, c’è un’inflazione al 700% e non c’è modo di uscire dal Paese perché tutte le compagnie se ne sono andate. Quindi anche senza essere schierato con l’opposizione hai davanti una realtà insostenibile, hai esigenze a cui il governo non risponde e la riforma costituzionale non ha niente a che fare con un piano economico o di intervento umanitario. Tanti governi stranieri hanno proposto di far arrivare degli aiuti, tra cui l’Italia con il ministro Angelino Alfano, ma hanno ricevuto in tutta risposta dal governo di Maduro un secco “no grazie, noi stiamo bene”.

Un clima sociale rovente...

"La gente ha voglia di spaccare tutto, soprattutto i giovani, quelli che non vedono nessun futuro e che non hanno nemmeno la possibilità di andare via".

E la crisi economica influenza le posizioni della gente comune? Federcamaras- Camera di Commercio nazionale - ai tempi dello sciopero generale aveva avuto un atteggiamento piuttosto tiepido, pur non vietando la partecipazione...

"Chi ha piccole e medie imprese, nella situazione economica attuale, se chiude un giorno ha forti perdite e rischia pesanti sanzioni dal governo. Gli scioperi non hanno funzionato al 100%, perché se hai famiglia o un piccolo negozio e vivi di quello fai davvero fatica a partecipare".

C’è chi pensa che se cade Maduro la crisi economica può peggiorare?

"Sì, soprattutto chi vive di sussidi sociali, chi ha quel piccolo aiuto e non sa cosa possa succedere “dopo” e si tiene stretto anche quel poco di certo che ha. Ma con la crisi petrolifera anche quel margine di stato sociale che c’era è destinato a finire, e non conta che Goldman Sachs abbia comprato dei titoli di stato e della compagnia petrolifera PDVSA al 70% di sconto per un valore di circa 2,8 miliardi di dollari".

Un po’ di respiro...

"Sì, però a New York ci sono state manifestazioni in cui si diceva “state dando ossigeno a una dittatura”. Senza questi aiuti sarebbe già caduto il governo. I militari lo sostengono finché riescono ad avere qualcosa in cambio, ma quando non l’avranno più passeranno a sostenere altri. Queste settimane saranno decisive".

Quanto pesa ancora il tema della “rivoluzione”?

"Nei giorni precedenti il voto, esponenti del governo dicevano “non votare è tradire la rivoluzione” e purtroppo per alcuni il tema pesa ancora, perché credono ancora alla teoria del complotto degli Stati Uniti, all’idea di essere stati sfruttati dal gigante americano, e negli anni di Chavez magari sono riusciti a comprarsi una casa, ad avere la macchina, a trovare un lavoro. Vivono ancora in questo mood della destra fascista e della sinistra buona che aiuta tutti. E invece non è certo un problema di destra - sinistra, ma di democrazia versus totalitarismo.

È una questione generazionale?

"Non credo, perché tra i candidati dell’Assemblea Costituente ci sono sia anziani sia molti studenti. È una questione trasversale, se sei legato da motivi professionali al governo, ad esempio se lavori nell’ufficio stampa di gabinetto, devi crederci fino in fondo, al di là dell’età. Ma il rischio per questa parte di venezuelani che appoggiano a vario titolo è che poi ci sarà una caccia alle streghe, molti finiranno in galera, soprattutto i membri del governo, su cui peraltro sono già in corso delle indagini, ad esempio negli Stati Uniti. Un lungo elenco di persone indagate per narcotraffico, e quando cadrà Maduro saranno arrestati".

Nell’opposizione intravede futuri leader?

"Ce ne sono molti, forse troppi, ed è per questo che l’opposizione è molto divisa. Ma quello che mediaticamente è più forte è Leopoldo Lopez, per tre anni in prigione e ora agli arresti domiciliari, fondatore del Partito Voluntad Popular, in politica da quando aveva 20 anni. Poi ci sono Henrique Capriles Radonski e Maria Corina Machado, e ce ne sono anche tanti tra gli studenti che hanno cominciato la resistenza nel 2014, quando la situazione era simile a quella di oggi, ad esempio Freddy Guevara, che è diventato deputato.Tutti personaggi dell’opposizione che avranno un ruolo importante nella transizione, politicamente molto preparati e con proposte concrete già pronte, soprattutto dal punto di vista economico".

Quindi c’è ancora fiducia?

"Sì, me ne rendo conto quando parlo con i miei familiari che stanno là, mentre io sono sempre più depressa, perché a differenza loro non mi aspettavo che il voto andasse così. Mi ripetono che questa è l’ennesima prova che il governo non intende negoziare, quindi a maggior ragione bisogna resistere e combattere".

La corda di Maduro prima o poi si spezzerà...

"Interlocutori importanti come Zapatero avevano chiesto al governo di bloccare il progetto della nuova Assemblea Costituente, come gesto simbolico di pacificazione con l’opposizione, per allentare la tensione e trovare un punto di confronto".

Da lontano è dura assistere a quanto succede?

"Sì, è ancora più dura, soprattutto quando mi capita di sentire commenti in Italia personaggi come Ornella Bertorotta - senatrice del Movimento 5 Stelle - che pur avendo visto di persona lo scorso marzo la situazione del Venezuela, ha trovato parallelismi tra la riforma costituzionale di Maduro e quella di Renzi..."

Come reagirebbe Hugo Chávez di fronte a questo Venezuela?

"Quello che sta accadendo è il risultato del suo operato. Ma aveva più carisma e più abilità politica. Quando nel 2002 c’è stata una crisi molto forte, con tanto di colpo di stato dei militari, scioperi generali e proteste per le strade, lui è riuscito a uscirne dialogando con le parti, e nel 2004 ha indetto un referendum con osservatori internazionali rendendosi disponibile a un passo indietro. Ha vinto e il Paese è rimasto intatto, e le elezioni sono state vere".

Tra lui e Maduro c’è una differenza di spessore? Di personalità?

"Un politico - Maduro - che dice “ci prenderemo con le pallottole e con gli spari quello che non riusciremo a prenderci con i voti”, ti fa capire che non può rimanere al suo posto".

Forse Chávez era più furbo?

"Sicuramente. Ma non lo giustifico, la situazione attuale è il risultato di quello che ha fatto negli anni in cui era al potere, certo lui aveva il petrolio a 120 dollari e lo amavano tutti. Ma resta un autoritario, che ha centralizzato tutto nella figura del presidente e ha creato il Partito Unico Socialista. Era percepito in un altro modo, e questo forse fa ancora più male. Era ancora più pericoloso. Come dice il sociologo Tulio Hernández quello di Chávez era un neo-totalitarismo, mentre quella di Maduro è una vera e propria dittatura".

Che tempi vede per una soluzione?

"Fino a domenica mattina pensavo che sarebbe stata vicina, ma oggi non ho più idea. Spero poco, ora la popolazione è chiusa in casa, perché in strada c’è una vera rivolta".

All’estero dovremmo parlarne di più?

"Sì, non se ne è parlato fino agli ultimi avvenimenti, è questa pressione può essere davvero d’aiuto per il Venezuela".

Barbara Miccolupi
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