Il vertice europeo del 28 giugno scorso si è caratterizzato per il prevalere, in sede decisionale, dei popolari, dei socialisti e dei liberali i quali, nel discutere le nomine delle alte cariche delle Istituzioni Europee, hanno trovato la quadra, per così dire, su tre personalità in particolare: Ursula Von der Leyen, riconfermata alla guida della Commissione Europea, Antonio Costa al Consiglio Europeo, e Kaja Kallas quale Alto Rappresentante per gli Affari Esteri.

Ad esprimere, sia pure in maniera differente, il loro disappunto, se in tali termini possa essere definito, solamente l’Italia di Giorgia Meloni e l’Ungheria di Viktor Orban. Disappunto/dissenso che, con buona verosimiglianza, potrebbe ridurre notevolmente il loro potere negoziale nel prosieguo delle trattative. Probabilmente, a pesare maggiormente nei prossimi giorni sarà proprio l’astensione del Presidente del Consiglio Italiano Giorgia Meloni sulla riconferma di Ursula Von der Leyen alla guida della Commissione Europea, siccome, fino ad ora, era riuscita ad intrattenere un apprezzabile rapporto di cooperazione con la stessa, e siccome Forza Italia, alleato di Governo sul piano nazionale, appartiene proprio alla famiglia europea del Partito Popolare, convinto sostenitore della presidente uscente.

Difficile dire se vi siano stati realmente problemi di “metodo e di merito” come ha sostenuto la Premier italiana, soprattutto laddove si voglia considerare che la politica, anche quella di rilievo sopranazionale, sembra doversi decidere, e si decide, sui numeri. Le tre famiglie politiche che all’esito delle urne del 9 e 10 giugno hanno prevalso nonostante il risultato sorprendente delle destre sono quelle dei popolari, dei socialisti e dei liberali, non quelle delle destre che pure hanno trovato soddisfazione nel contesto di taluni Paesi Membri incontrando il consenso dei cittadini di riferimento.

Ebbene, detto questo, al di là di ogni considerazione sugli accadimenti politici recenti, non sarà irrilevante porre l’accento su taluni aspetti. Intanto, quello per cui l’Italia è uno dei Paesi Fondatori dell’Unione Europea, sin dall’anno 1951, allorquando con Francia, Germania, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi firmò il Trattato di Parigi istitutivo della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio. Quindi, quello per cui il 25 marzo 1957, proprio l’Italia, a Roma, ospitò un altro evento di fondamentale rilevanza, ossia la firma dei Trattati che istituivano la Comunità Economica Europea e la Comunità Europea dell’Energia Atomica. Infine, quello per cui, anche a tutto voler considerare, probabilmente si dovrebbe rammentare che la Commissione Europea della tedesca Ursula Von der Leyen, nella appena trascorsa esperienza, era già stata sostenuta da una alleanza piuttosto ampia rispetto alla esperienza Juncker, siccome aveva avuto il merito di valorizzare il peso politico dei gruppi meno influenti. A significare che, diversamente da quanto si potrebbe ritenere, già nel corso della trascorsa esperienza di governo sovranazionale si era potuto registrare un apprezzabile cambio di equilibri all’interno dei quali comunque, e fin dal lontano 1958, proprio l’Italia è stato il Paese che ha potuto fare affidamento sulla attribuzione di più ruoli chiave proprio in Commissione.

Allo stato attuale dunque non parrebbero esservi ragioni stringenti che inducano a ritenere che all’Italia non possa essere ancora una volta riservato un ruolo di primaria importanza. Diverso potrebbe essere il discorso con riferimento ai rapporti tra ECR e le famiglie europee di maggioranza, ossia Partito Popolare Europeo, Socialisti e Liberali, espressione nel loro complesso di valori differenti. Tanto più allorquando le tre famiglie politiche, per l’appunto espressione concreta della maggioranza nell’Unione, popolari, socialisti e liberali, diversamente dalle destre, siano portatrici di un progetto di rafforzamento della Unione medesima in prospettiva federale. E ancor di più allorquando, la stessa Ursula Von der Leyen, nel corso del suo primo mandato, sia stata, a torto o a ragione, e a prescindere dal maggiore o minore gradimento dei singoli gruppi politici, effettiva protagonista di un periodo storico di profonda trasformazione, adeguando la propria ideologia, nei limiti del possibile, alle necessità contingenti. Basti considerare che, negli ultimi cinque anni, checché se ne voglia dire, la Commissione di Ursula Von der Leyen ha saputo portare avanti, condividendole, tanto misure care alla destra, soprattutto in materia di immigrazione, con riforme tendenti alla accelerazione delle procedure di asilo, alla adozione di pene più severe per i trafficanti di esseri umani, sul piano della definizione di accordi con i Paesi limitrofi per tentare di arginare il fenomeno della immigrazione irregolare e via dicendo, quanto misure care alla sinistra, soprattutto nell’ambito della tutela dei diritti Lgbtq e dei lavoratori, oltre che sul piano del Green Deal. La questione, dunque, è tutt’altro che trascurabile. E, considerata la politica ispirata al senso di equilibrio finora condotta dalla presidente Von der Leyen, l’astensione di Giorgia Meloni sulla sua riconferma parrebbe di difficile comprensione. Sarebbe necessario trovare, innanzitutto a livello nazionale, un opportuno punto di equilibrio sul piano delle prospettive europee e sugli obiettivi da perseguire.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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