Il contingente italiano dopo quasi vent’anni si appresta a lasciare l’Afghanistan.

Oggi è arrivato a Herat il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, per il saluto finale ai militari e la cerimonia dell'ammaina-bandiera alla base di Camp Arena, che sarà consegnata alle forze di sicurezza locali.

Le operazioni di rimpatrio di uomini (erano 800 a inizio anno) e mezzi sono state già avviate a maggio e si concluderanno a breve. L’operazione va di pari passo con l'accelerazione impressa dagli Usa che intendono lasciare il Paese entro metà luglio, in anticipo sulla data simbolica dell'11 settembre annunciata dal presidente Joe Biden.

LE MISSIONI - Dopo gli attentati alle Torri Gemelle, nell'ottobre del 2001 scattò l'offensiva contro l'Afghanistan dei talebani, diventato un “safe haven”, un rifugio sicuro per i terroristi di al Qaeda. Alla missione Isaf, conclusa nel 2014, è subentrata nel 2015 quella “non combat” Resolute Support - sempre Nato - per formare e assistere le forze di sicurezza locali.

"Non vogliamo che l'Afghanistan torni ad essere un luogo sicuro per i terroristi – ha detto Guerini -. Vogliamo continuare a rafforzare questo Paese dando anche continuità all'addestramento delle forze di sicurezza afghane per non disperdere i risultati ottenuti in questi 20 anni".

"Non abbandoniamo il personale civile afghano che ha collaborato con il nostro contingente a Herat e le loro famiglie: 270 sono già stati identificati e su altri 400 si stanno svolgendo accertamenti. Verranno trasferiti in Italia a partire da metà giugno", ha aggiunto.

L’APPELLO – Un appello, quello di accelerare i programmi per il reinsediamento di ex interpreti afghani e altri dipendenti di truppe o ambasciate straniere minacciati di ritorsioni dalle forze talebane, lanciato da  Human Rights Watch.

"Gli afghani che hanno lavorato con truppe o ambasciate straniere affrontano enormi rischi di ritorsioni da parte dei talebani", ha affermato Patricia Gossman, direttore associato per l'Asia di Human Rights Watch: "I Paesi con le truppe in partenza dovrebbero impegnarsi ad assistere chi si trova ad affrontare un pericolo per aver lavorato per loro".

A gennaio, riferisce Hrw, gli insorti talebani hanno ucciso un interprete che lavorava per gli Stati Uniti da 12 anni ed era in attesa del visto. Altri ex interpreti hanno affermato di aver ricevuto minacce di morte. 

(Unioneonline/D)

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