Mosca continua a tuonare impetuosa del tutto incurante persino del tentativo di mediazione avviato dal premier israeliano Naftali Bennet: qualunque Paese si azzardi ad ospitare aerei militari ucraini “sarà coinvolto nel conflitto”. La “richiesta”, sul piano formale, sembra essere sempre la stessa, ossia la “denazificazione” dell’Ucraina, la sua “neutralizzazione”, il riconoscimento dell’annessione della Crimea e dell’indipendenza del Donbass. Ed al suo accoglimento parrebbe essere subordinata la cessazione della “operazione militare” in essere. Pare ancora difettare, tuttavia, la capacità dei leader “occidentali” di intavolare serie trattative con Vladimir Putin, sempre meno incline, da parte sua, a raggiungere un compromesso con una controparte fin troppo debole (e il riferimento non va certo all’Ucraina) per poterne garantire la tenuta.

Dicendolo altrimenti, e malgrado si tenti di raccontare una Russia “in sofferenza” siccome apparentemente indebolita dall’inflizione di sanzioni esemplari, ho come l’impressione che fin tanto che Vladimir Putin non venga raggiunto da una “Voce” che lui stesso possa accettare come autorevole e degna di attenzione, oltre che di “forza imperante”, nessuna trattativa utile, e dagli effetti duraturi, potrà mai intavolarsi. Il problema, insomma, è di “leadership” prima che di “sostanza”: e la strategia, si sa, è affare per pochi. Tanto più, allorquando, il suo naturale e potentissimo alter ego, Xi-Jinping, conservi tutto l’interesse a non esprimere una posizione chiara e netta sull’intervento militare. Con l’attacco sferrato all’Ucraina è definitivamente caduto quel “limite” oltre il quale nessuno avrebbe mai creduto di avventurarsi: di fatto, quella “operazione militare speciale” ha liberato il varco ad un nuovo/vecchio e vorace autoritarismo di Stato il quale, impegnando a più riprese il contraddittore “silente” a Stelle e Strisce, favorisce gioco forza l’avanzata disarmata della Cina la quale, a sua volta, e dal canto suo, ben potrebbe, all’esito, ma pure nel breve e medio periodo, portare avanti le proprie ambizioni espansionistiche del tutto indisturbata, visto e considerato – molto spesso lo si dimentica – che la medesima, condivide con la Russia mila e mila chilometri di confine. Insomma: tra comunanza di interessi ed ideologie, e sottili opportunismi si dipana il rapporto Cina-Russia soprattutto nel contesto di un conflitto che le parti in campo si guardano bene dal definire nei termini, probabilmente più realistici per chi si ritrovi a subirlo, della “invasione” e/o della “guerra”.

Intendiamoci: la terminologia nasconde pur sempre un messaggio subliminale recondito ma drammaticamente presente, sia pure inaccettabile a livello inconscio prima ancora che naturalistico. Discorrere nei termini della pura e semplice (se tale può mai essere, e non può esserlo) “operazione militare” invece che della “guerra”, in qualche modo, da parte del “Leader Maximus” russofono, significa sotto-intendere che, da parte sua, lo spiegamento di forze è minimo, e che nonostante tutto, nonostante la devastazione e il dolore così spietatamente inflitto, la forza in campo da Lui schierata è risibile rispetto alle reali potenzialità. Ma, al di là ed oltre siffatte riflessioni preliminari, quale interesse può mai spingere la Cina, la quale si è sempre proclamata rispettosa della sovranità di tutti i Paesi e della loro integrità territoriale, a sostare in una sorta guado strategico che parrebbe non fargli onore? Perché non interviene fattivamente per fermare il “massacro” (rectius: l’operazione bellica) in Ucraina del quale è la primissima partner commerciale?  Partner commerciale si ed alleata no? Evidentemente la faccenda è più complessa di quel che appare, e questo “Occidente” sbiadito e distratto pare aver smarrito ogni contatto con la realtà per poterla comprendere ed interpretare. Se così non fosse, non si sarebbe determinato nel senso di procedere all’invio delle armi in Ucraina assumendo il ruolo di partner “occulto” ma non troppo, nel contesto di guerra che si è consapevoli di non poter abbracciare ma che, in siffatto modo, si insiste, certamente in buona fede e se ne comprende la ragione, a non voler abbandonare per consentire al popolo ucraino di resistere. “Si” convinto, dunque, alle operazioni di pace e ai corridoi umanitari, ma, dal mio umile punto di vista, “no” secco e deciso all’invio di armamenti che tutto sommato, parrebbe assumere (questa è l’impressione) il sapore di una partecipazione quasi attiva al conflitto a tutto nostro rischio e pericolo considerato il “modus ragionandi” dell’odierno “invasore”. Ebbene. Per tornare agli interrogativi di partenza, e per offrire una risposta plausibile agli stessi, non sembra potersi prescindere da una circostanza fondante il “pensiero” strategico asiatico, ossia il principio cinese di non ingerenza negli affari interni altrui. Sembra scontato, ma così non è se si considera l’agire generalizzato di altri “competitor” internazionali. Soprattutto laddove ci si soffermi a considerare che, dal momento del crollo dell’Urss come tradizionalmente intesa il quadro delle possibili alleanze sembra aver subito trasformazioni determinanti di cui oggi si inizia a pagare lo “scotto”: è da quel preciso momento, infatti, che gli Stati Uniti paiono aver ritenuto di poter mutare atteggiamento rispetto alla potenza cinese, per averla individuata, ed in ciò errando, per un verso, non più come soggetto utile a gestire l’equilibrio geopolitico a est del pianeta e, per altro verso, per averla “qualificata” quale nuovo e minaccioso “player” mondiale. Ciò che, evidentemente, ha indotto la Cina ad avvicinarsi alla Russia avviando con la medesima una convergenza di interessi difficile da contrastare o intaccare specie all’indomani dei “fatti” della “primavera ucraina” del 2014. Detto altrimenti, a mio avviso, l’errore principale dell’“Occidente” filo-atlantista è stato quello di voler conservare binari di sviluppo e partnership nettamente distinti tra Europa e Asia ritenendo di poter prevalere sulla seconda.

Ma siffatti binari, tuttavia, hanno contribuito unicamente ad incrementare la incomunicabilità tra i due Mondi di cui il secondo, quello asiatico, sulla lunga distanza, ha dimostrato di riuscire ad imporsi senza se e senza ma determinando un disequilibrio tattico del tutto idoneo a cogliere di sorpresa Washington ed i suoi Alleati. Se “divide et impera” costituisce ancora la regola aurea di ogni forma di imperialismo, certamente non sarà trascurata dalle potenze asiatiche di Russia e Cina le quali, sembrano non voler ad oggi perdere l’occasione per infliggere al “competitor” occidentale un nuovo ed inusuale colpo strategico. L’Asia, nella totalità della sua estensione costituisce, con la presenza del Giappone, un terreno economico di sviluppo dalle potenzialità incalcolabili che gli esiti del presente conflitto potrebbero rafforzare ulteriormente a tutto discapito di una Europa dall’organizzazione ancora desueta e scoordinata.

Ciò significa, a mio modesto avviso, che fino a quando la “operazione militare speciale” di Vladimir Putin si manterrà in qualche modo “contenuta” (soffro ad usare questa parola, ma appare utile a livello meramente argomentativo), allora Xi-Jinping continuerà ad esortare la pace sul piano linguistico senza minimamente intervenire sul piano diplomatico. Se e quando, l’intervento bellico dovesse accennare ad assumere dimensioni maggiori o semplicemente ad acuirsi sfuggendo di mano al suo stesso promotore, allora e solo allora, potremo assistere ad un intervento diretto e deciso della Cina che della guerra armata non ha mai avuto bisogno, nel passato recente, per sottomettere i popoli. Le “guerre” cinesi, se mai tali possono definirsi, sono prettamente di carattere economico. Per concludere, in questo momento, Russia e Cina sono accomunate dal medesimo obiettivo: l’indebolimento degli Stati Uniti. Lo scacco matto dipenderà dalla capacità del Vecchio Occidente di agire di sorpresa rompendo l’asse di interesse russo-asiatico attraverso l’offerta alla Cina di un percorso economico verso ovest maggiormente allettante rispetto a quello, in ipotesi, “costruendo” verso est. L’obiettivo, in altre parole, l’unico possibile ed utile a fermare il conflitto, è quello di perseguire la strada dell’isolamento geopolitico della Russia la quale si è rivelata del tutto incurante delle sia pur pesanti sanzioni economiche.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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