L'unica cosa certa, almeno per ora, è che Jamal Khashoggi non sia mai uscito dal consolato saudita di Istanbul, in Turchia. E che sia stato ucciso.

Per il resto (sembra) che l'Arabia Saudita stia preparando una nuova versione dei fatti sulla sparizione del giornalista dissidente, ammettendo l'omicidio e dando così credito alle tante ricostruzioni dei giornalisti, dei familiari e degli amici fatte dal 2 ottobre a oggi.

Il governo saudita, però, potrebbe aggiungere di averlo fatto "per errore", ossia durante un interrogatorio finito male nell'ambito di un'operazione che aveva come scopo di rapirlo e riportarlo nel Paese.

Operazione che sarebbe stata condotta senza avvertire i massimi vertici del Regno e concordata fra Turchia, Stati Uniti e Arabia Saudita per uscire dall'impasse che rischiava di far saltare le alleanze statunitensi nella regione.

Vicino al consolato (Ansa)
Vicino al consolato (Ansa)
Vicino al consolato (Ansa)

Intanto il presidente Usa Donald Trump è sceso in campo per difendere l'Arabia Saudita e ha paragonato il caso Khashoggi a quello di Brett Kavanaugh, il giudice della Corte Suprema accusato di aver molestato almeno tre donne, e ha sottolineato come non ci sono prove a sostegno di tali accuse. "Penso che si debba scoprire prima cosa sia successo - ha dichiarato Trump - ancora una volta siamo alla colpevolezza prima della dimostrazione dell'innocenza. Abbiamo passato una cosa simile con il giudice Kavanaugh e lui è sempre stato innocente per quel che mi riguarda".

In un'inchiesta, il New York Times ha scoperto che sono almeno 5 le persone coinvolte nella sparizione del giornalista, quattro delle quali collegate al principe ereditario Mohammed Bin Salman; altri 3 sospettati sarebbero invece collegati alla scorta che si occupa della sicurezza del principe.

Ma Trump ha ipotizzato che l'omicidio possa essere opera di "qualche solitario", quindi persone non legate al potere saudita, e ha puntualizzato che "Turchia e Arabia Saudita stanno lavorando fianco a fianco".

(Unioneonline/s.a.)

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