Ha ucciso un uomo durante una lite a Catania nel 1990, strangolandolo con una fune.

Dopo 33 anni il cold case è arrivato a una svolta decisiva. Il 53enne Rosario Guzzetta è stato condannato a 21 anni per  l’assassinio di Rosario Cinturino.

L’omicidio sarebbe arrivato al culmine di una lite tra i due, entrambi spacciatori, che non avevano trovato un accordo per la spartizione dei ricavi della vendita degli stupefacenti. Guzzetta dovrà anche risarcire i quattro familiari della vittima – che si sono costituiti parte civile nel processo – , con 50.000 euro a testa.

La vicenda sarebbe rimasta irrisolta se nel 2019 – 29 anni dopo il delitto – non ci fosse stata una novità dovuta all'archiviazione di vecchi fascicoli della Polizia scientifica. Da questi è emerso che sul luogo dell'omicidio erano stati repertati anche due frammenti di impronte digitali. Uno di questi corrispondeva al pollice della mano sinistra del condannato, “fotosegnalato” nel dicembre del 1984 a seguito di una rapina.

Guzzetta però risultava essere stato detenuto dall'ottobre del 1986 al gennaio del 1993. Con i successivi accertamenti si è scoperto che il giorno del delitto l’uomo non era in prigione: aveva ottenuto un permesso premio dal 15 al 30 marzo del 1990 e quindi il 28 marzo di quell'anno non era nel carcere di Nicosia (Enna) dove era recluso.

Nell'inchiesta sono confluite numerose intercettazioni telefoniche e ambientali in cui, secondo l'accusa, «il 53enne rivela il movente dell'omicidio sostenendo che lo ha ucciso in quanto era suo debitore». L'indagato, inoltre, ricostruisce la Procura, «non conoscendo pienamente le fonti di prova a suo carico, ritiene con certezza che ad accusarlo del delitto sia il collaboratore di giustizia Concetto Bonaccorsi detto “U Carateddu”».

(Unioneonline/v.f.)

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