Comincia nella caserma dei Ros il lungo interrogatorio di Silvia Romano, la cooperante milanese rapita in Kenya nel 2018 e liberata ieri dopo una complicata operazione dell'intelligence italiana.

La 24enne ha ora il compito di raccontare i 17 mesi di prigionia tra il Kenya e la Somalia al pm della Procura di Roma Sergio Colaiocco e all'antiterrorismo dei carabinieri, che in questi mesi hanno svolto le indagini.

Durante l'interrogatorio, durato quasi 4 ore, la Romano ha cercato di mettere a fuoco i ricordi, partendo dal giorno in cui è stata prelevata da una banda armata in Kenya. Erano in otto, un'azione compiuta forse su commissione dei militanti del gruppo islamista al Shabaab a cui la ragazza è stata poi ceduta dopo un lungo viaggio di trasferimento in Somalia.

In questi mesi, ha detto poi, è stata trasferita frequentemente e sempre in luoghi abitati e alla presenza degli stessi carcerieri: "Mi sono spostata con più di un carceriere in almeno quattro covi, che erano all'interno di appartamenti nei villaggi. Loro erano armati e a volto coperto, ma sono sempre stata trattata bene ed ero libera di muovermi all'interno dei covi, che erano comunque sorvegliati. Sono sempre stata da sola, non ho visto altre donne".

I covi, ha precisato Silvia, "erano raggiunti sempre a piedi camminando per chilometri".

Sulle voci che sia stata costretta a sposarsi: "Non c'è stato alcun matrimonio né relazione - ha detto - solo rispetto. Mi hanno assicurato che non sarei stata uccisa e così è stato, non ho subito violenze".

Agli inquirenti ha ribadito la scelta di convertirsi all'Islam, in modo del tutto "spontaneo e non forzato": "E' successo a metà prigionia, quando ho chiesto di poter leggere il Corano e sono stata accontentata".

"Grazie ai miei carcerieri - ha spiegato - ho imparato anche un po' di arabo. Loro mi hanno spiegato le loro ragioni e la loro cultura. Il mio processo di conversione è stato lento in questi mesi".

(Unioneonline/D)
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