Saman Abbas aveva inviato al fidanzato nomi e numeri di telefono dei familiari e di tutte le persone che a suo avviso le avrebbero potuto fare del male. E lo ha fatto il 4 febbraio 2021, tre mesi prima di sparire nel nulla.

La chat è agli atti, è stata acquisita dai carabinieri di Reggio Emilia. E tra le persone citate ci sono tutti e cinque i rinviati a giudizio per l’omicidio della 18enne di origini pachistane. Ovvero i genitori Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, latitanti in Pakistan, lo zio Danish Hasnain, i cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq, arrestati nei mesi scorsi dopo la fuga all'estero.

Oltre a loro la ragazza segnalava anche il fratello minore, un altro cugino e un altro zio che non risultano indagati. Questi ultimi due sono gli stessi parenti che il fratello, in una conversazione con la madre intercettata dopo il delitto, accusava come istigatori dell'uccisione di Saman.

La giovane nella chat indicava al fidanzato anche ulteriori dettagli: la via della casa dove aveva abitato con i familiari, e dove sarebbe tornata il 20 aprile per prendere i documenti e andarsene, dopo un periodo vissuto in una comunità protetta a Bologna, il nome e la città pachistana del cugino che lei rifiutava di sposare. Un no al matrimonio combinato che è costato la vita alla stessa ragazza, uccisa dai familiari “per salvare la dignità e l’onore”, come ha detto il papà in un’intercettazione finita agli atti.

(Unioneonline/L)

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