Dicono le cronache che Papa Francesco ha celebrato la Messa del giovedì santo in casa di Monsignor Angelo Becciu, privato da tempo delle prerogative cardinalizie, ma non dell’ospitalità nel palazzi del Vaticano, dove risiede appartato, libero ed esonerato dagli impegni istituzionali inerenti al titolo. Le ragioni del grave provvedimento non sono state ancora formalizzate, ma pare che Angelo Becciu risulti coinvolto in operazioni finanziarie poco chiare, e in un uso quanto meno imprudente di risorse finanziarie del Vaticano. Pare che l’accertamento e la valutazione dei fatti e delle eventuali responsabilità sia tuttora in corso, ragione per cui il prelato è da considerare da una parte un accusato in attesa di giudizio, da un’altra un condannato vero e proprio, con decisione papale che lo ha privato delle prerogative cardinalizie, provvedimento di una certa pesantezza. Il prelato non ha ammesso, almeno pubblicamente, i fatti e le azioni di cui viene accusato, e alla scarsa luce delle notizie ufficiali che trapelano sulla vicenda, non è possibile stabilire con sicurezza quale sia in questo momento la sua posizione nei confronti della giustizia vaticana. In attesa che le autorità competenti la chiariscano, egli vive una condizione che ricorda quella di un condannato agli arresti domiciliari e come tale possibile destinatario di una delle opere di misericordia spirituale, quella destinata agli afflitti, bisognosi di essere consolati.

Molti hanno creduto di vedere nella visita del Papa al vecchio amico ex cardinale un gesto di riconciliazione, dopo lo scontro di qualche tempo fa e l’allontanamento del presule dalla carica di responsabile della causa dei Santi. Ma si tratta di una mera supposizione, manca un’interpretazione autentica, che solo i due protagonisti potrebbero fornire, se lo volessero. All’occhio dell’osservatore esterno, l’evento che vede il Papa recarsi a visitare l’ex cardinale vittima di gravi accuse, da lui medesimo giudicato e condannato, appare come un gesto di misericordia, di consolazione dell’afflitto. Con esso il Papa osserva un precetto della Chiesa e fa all’amico il suo dono pasquale. Santifica la sua Pasqua. Noi non sappiamo, non possiamo sapere se, nel corso dell’incontro e della messa da loro concelebrata, qualcuno ha perdonato o si è pentito, se il perdono e il pentimento sia stato reciproco o unilaterale, se si sono riconciliati e in quali termini la riconciliazione sia avvenuta. Sappiamo solamente che la misericordia non cancella le eventuali colpe del monsignore né lo riabilita, e che essa soddisfa soprattutto il bisogno del misericordioso di essere buono nella Pasqua del Signore. La situazione del destinatario di tale gesto, pur vissuto con gioia grande e rara, non muta. Pare certo che Angelo Becciu aveva ed ha un solo bisogno, umano e istituzionale, quello di vedere finalmente chiarita la sua posizione di uomo e di prelato di Santa Romana Chiesa, vittima di gravi accuse che lui ha rigettato. Il gesto del Papa, umanamente e cristianamente doveroso e generoso, non risolve questo problema, ma al limite e indirettamente rischia di confermarlo, al di là delle intenzioni, indubbiamente buone e fraterne in Cristo, di chi lo ha compiuto.

Gabriele Uras

Cagliari
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