Nella giornata di ieri il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è finalmente intervenuto con una nota per stigmatizzare il proprio disappunto in ordine alla commistione tra politica e magistratura.

In particolare, dopo aver precisato di non poter procedere autonomamente nel senso dello scioglimento del “Consiglio Superiore della Magistratura in base a una propria valutazione discrezionale”, non ha mancato di puntualizzare, per un verso, che un eventuale scioglimento del Consiglio medesimo, in questo particolare e delicato momento, avrebbe il solo effetto di comportare “un rallentamento, dai tempi imprevedibili, dei procedimenti disciplinari in corso nei confronti dei magistrati incolpati dei comportamenti resi noti, mettendone concretamente a rischio la tempestiva conclusione nei termini previsti dalla legge”, e, per altro verso, e nel contempo, non ha mancato di auspicare l’approvazione, da parte del Parlamento, di “una adeguata legge di riforma delle regole di formazione del (lo stesso) CSM”.

In questo senso, non più tardi di qualche giorno fa, dal canto suo, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, di nuovo forte per “grazia ricevuta” direttamente da San Matteo Primo, non solo si era già preoccupato di annunciare la imminente riforma del ridetto Consiglio sperando di trovare, sul punto, “la convergenza con le forze politiche di opposizione”, ma aveva anche anticipato che “il progetto base prevede(va) stringenti norme che, sostanzialmente, impedi(vano) al magistrato di tornare in ruolo dopo aver ricoperto cariche politiche elettive o di governo, anche a livello territoriale”.

Il ministro della Giustizia Bonafede (Ansa)
Il ministro della Giustizia Bonafede (Ansa)
Il ministro della Giustizia Bonafede (Ansa)

Fin qui nulla quaestio, sembrerebbe, giacchè la gravità della vicenda è tale, e di tale evidenza, da imporre un intervento serio, deciso e ragionato. Ma, al di là di questo, siamo proprio sicuri che il c.d. “Caso Palamara”, forse divenuto “Caso” per il solo fatto di essere clamorosamente rimbalzato all’attenzione della cronaca, sia davvero una novità assoluta sconosciuta fino ad oggi? E’ davvero il caso di manifestare tanto stupore per l’emergere, ma forse sarebbe meglio dire per l’intensificarsi, di un fenomeno imbarazzante, più o meno sommerso, persistente da decenni e verosimilmente alimentato, e aggiungo doverosamente il forse, in taluni casi, proprio dall’inerzia dei vari Governi succedutisi? Ed ancora: siamo proprio sicuri che nell’ambito del conflitto tra Potere Politico, per definizione fondato su una legittimazione popolare e democratica e normalmente esercitato attraverso una attività puramente e meramente discrezionale, e Potere Giudiziario, al contrario fondato, sempre per definizione, su una legittimazione istituzionale e, per ciò stesso, esercitato attraverso un’attività per così dire necessariamente condizionata al pieno ed integrale rispetto della legge, il nocciolo del problema sia rappresentato solo ed esclusivamente dal Consiglio Superiore della Magistratura, ossia, per intenderci, dall’organo essenziale di autogoverno della Magistratura medesima chiamato a garantirne l’autonomia e l’indipendenza sia in funzione giudicante sia in funzione requirente?

Siamo certi che, dopo tutto, l’intento riformatore, chiaramente ispirato dalle vicissitudini contingenti, non rappresenti, comunque, l’ennesimo tentativo di riaffermare la tanto agognata “superiorità” della Politica sulla Magistratura? Gli interrogativi non possono che sorgere spontanei, come pure altrettanto spontanee paiono affacciarsi, nella mente di ciascuno di noi, le potenziali risposte variamente condizionate, inevitabilmente, dalla interpretazione personale di ciascuno. Intanto, perché, checchè se ne voglia dire, il conflitto tra magistratura e politica, benchè appaia oggi certamente amplificato grazie anche al prepotente processo di delegittimazione dei sistemi partitici in senso stretto, è da sempre stato presente sebbene in qualche modo nascosto, ed è sempre stato causa e, nello stesso tempo effetto, di importanti squilibri istituzionali che, ora come allora, si sono manifestati con una veemenza tale da mettere in serio pericolo la tenuta dell’intero sistema. Quindi, perché, ammesso e non concesso che oggi la Politica possa risorgere dalle ceneri come la fenice semplicemente “approfittando” delle difficoltà della magistratura e/o viceversa, non v’è chi non veda come, potenzialmente, i vari tentativi di intervenire sui meccanismi di composizione e di funzionamento del Consiglio Superiore, possano apparire, per molti versi, e come da più parti rilevato, né più né meno che come un modo come un altro di comprimere e/o controllare l’indipendenza stessa della magistratura, sebbene questa sia garantita a livello costituzionale dall’articolo 104.

Il magistrato Palamara (Ansa)
Il magistrato Palamara (Ansa)
Il magistrato Palamara (Ansa)

Inoltre, perché, se è vero, come è vero, che molto spesso la Magistratura, in forza probabilmente della connaturale e sempre più marcata debolezza della Politica tradizionale, dovuta in buona parte alla progressiva affermazione delle ideologie populiste, potrebbe aver tentato di avvicendarsi ad essa andando erroneamente ben oltre il dettato costituzionale di riferimento, tuttavia, è altrettanto vero, che la Politica medesima avrebbe dovuto astenersi, come di fatto deve astenersi, dalla tentazione di ricercare l’intervento della magistratura per perseguire i propri “desiderata”. Infine, perché, a ben considerare, il condizionamento potenzialmente esercitato dalla magistratura nei vari ambiti, allorquando e se sia stato concretamente esercitato perché sarebbe ingiusto fare di tutta un’erba un fascio, a torto o a ragione è difficile dirlo, potrebbe aver trovato il suo humus proprio nell’incapacità della politica di interpretare il proprio ruolo fondamentale, sintetizzabile nell’offrire concreta risposta alle diverse istanze dalle quali veniva di volta in volta raggiunta, rimaste per ciò stesso, e purtroppo, gravemente mortificate.

Ma tutto questo, alla fine della fiera, cosa significa? Per me, una cosa soltanto, ovvero che ogni Potere/Ordine deve “rieducarsi” nel senso di riacquisire la consapevolezza dell’estensione e dei limiti del proprio ruolo e delle rispettive funzioni, senza mai dimenticare quella imprescindibile bussola di riferimento chiamata Costituzione. In difetto, nessuna riforma, nemmeno la più eccellente, potrà tenerci al riparo da inutili, quanto dannose, storture quale quella del “Caso Palamara”.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato - Nuoro)
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