Fiammetta Borsellino ha guardato in faccia gli assassini del padre Paolo, il giudice assassinato da Cosa Nostra il 19 luglio 1992.

Si è recata prima a Terni, dove è detenuto Giuseppe Graviano, poi a L'Aquila da Filippo Graviano, i due padrini che conoscono tutti i segreti del periodo stragista e che sono detenuti in regime di 41bis, accusati - tra le altre cose - della strage di via D'Amelio.

A riportare la notizia è la Repubblica, quotidiano a cui la figlia del magistrato antimafia ha scritto una lettera.

Da una parte lei, dall'altra il boss - Giuseppe prima, Filippo poi - in mezzo un vetro blindato.

E Fiammetta ha raccontato ai killer del papà tutto il suo dolore e ha chiesto loro di redimersi raccontando tutta la verità. Inutilmente, pare: perché entrambi si sono chiusi a riccio. Giuseppe Graviano si è dichiarato anche innocente.

La strage di via D'Amelio
La strage di via D'Amelio
La strage di via D'Amelio

"L'incontro con i Graviano - ha scritto la Borsellino nella lettera al quotidiano romano - è stato dettato da una forte esigenza emotiva. Ho sentito la necessità di affrontarli per l'elaborazione di un faticoso lutto. Sono andata da loro con l'idea che può vivere e morire con dignità anche chi, pur avendo fatto del male, è capace di riconoscerlo, di chiedere perdono e riparare il danno".

E riparare il danno, continua Fiammetta, "per me non vuol dire passare il resto della propria vita in carcere, ma dare un contributo concreto per la ricerca della verità, un contributo di onestà che gli uomini di Cosa Nostra devono dare principalmente a loro stessi, perché chi uccide uccide la parte migliore di sé".

E perché "soltanto contribuendo alla ricerca della verità i figli potranno essere orgogliosi dei padri".

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

Una verità che non arriva però, né dai boss né dalle istituzioni. "Pur nel profondo rispetto che nutro per le istituzioni, e pur riconoscendo la complessità del percorso che deve portare i giudici della corte d'Assise di Caltanissetta alla stesura delle motivazioni della sentenza del Borsellino quater, da figlia ritengo che il passaggio di più di oltre un anno per il deposito del provvedimento sia un tempo troppo lungo".

Anche da quel provvedimento, spiega la Borsellino, "dipende un ulteriore prosieguo dell'attività giudiziaria della procura e del silente Consiglio superiore della magistratura per far luce su ruoli e responsabilità di coloro che hanno portato il falso pentito Scarantino alla calunnia. Un depistaggio che ci è costato 25 anni di tempo". E che ha allontanato le istituzioni dalla ricerca di quella verità che ormai è l'unica cosa che può consolare la figlia del giudice.

(Unioneonline/L)
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