È il 24 novembre del 2009 quando Lea Garofalo viene rapita, uccisa e poi data alle fiamme.

Cresciuta in una famiglia criminale calabrese a Petilia Policastro, in provincia di Crotone, criminale era anche il padre di sua figlia partorita a soli 17 anni, Denise, l'uomo di cui si era innamorata quando aveva 13 anni: Carlo Cosco. Desiderosa di una vita diversa, senza violenza, menzogna e paura, nel 2002 decide di collaborare con la giustizia, raccontando ai magistrati gli affari dell’ex compagno e del suo clan, e viene sottoposta, con sua figlia, al regime di protezione.

Dopo aver vissuto in solitudine, sotto false identità, cambiando continuamente residenza, nel 2009 esce dal sistema di protezione, sfiduciata dalle Istituzioni. Senza soldi e senza lavoro, torna a chiedere per disperazione aiuto a Carlo per il mantenimento della ragazzina. Lui finge una riappacificazione, per il bene della bambina.

E invece, la sera del 24 novembre 2009, a Milano – la città dove entrambi si erano trasferiti da giovani – con la scusa di parlare del futuro di Denise, la attira in un appartamento che si era fatto prestare in Piazza Prealpi. Ad attenderli in casa c'è Vito Cosco detto "Sergio". È qui che Lea viene uccisa. Il corpo viene portato da Carmine Venturino, Rosario Curcio e Massimo Sabatino a San Fruttuoso, un quartiere di Monza, dove viene dato alle fiamme per tre giorni finché non ne è rimasto più nulla. Lea Garofalo aveva 35 anni.

Pur essendo solo una ragazzina, Denise non si piegherà e permetterà di individuare e processare tutti i responsabili dell'omicidio della madre, costituendosi parte civile contro suo padre. Sul processo per la scomparsa, l'omicidio e la distruzione del cadavere di Lea Garofalo si è pronunciata il 18 dicembre del 2014 la Cassazione, con la condanna definitiva dei cinque imputati: quattro ergastoli e 25 anni di reclusione.

(Unioneonline/D)

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