Alla fine si è rivelata una "pezza” peggiore del “buco”. Subito dopo la Conferenza Unificata che ha “acclamato” l’intesa sulle fantomatiche e subdole «aree idonee» lo hanno raccontato a microfoni accesi, come fosse una lieta novella. In realtà si trattava di un annuncio che non ha precedenti nella storia dell’Isola: siamo pronti a sacrificare il mare sardo a colpi di pale eoliche da trecento metri, conficcate davanti agli scenari più incantevoli delle coste sarde. Chi se ne frega se Sindaci, comitati, pescatori, gente di buon senso, Capitanerie di Porto e provetti navigatori hanno a gran voce bocciato senza appello quel piano devastante per piazzare intorno all’Isola ben 1200 pale eoliche alte come la Torre Eiffel.

Dal sogno di Draghi

Del resto, i Governi, a partire da quello Draghi, ci stavano tentando da tempo di conficcare nel mare sardo un pò di grattacieli d’acciaio, un po’ per “dispensare” incentivi agli amanti del vento d’altura, dall’altra per soddisfare gli appetiti ingordi delle grandi lobby multinazionali, da quelle italiane a quelle straniere. L’operazione è stata “venduta” come una grande conquista per l’Isola, i fatti, invece, raccontano tutta un’altra storia. L’antefatto: il Governo, quello Meloni, nell’ultima bozza del decreto sulle «aree idonee», aveva previsto di scomputare il 40% della potenza elettrica degli impianti offshore dai contingentamenti minimi di potenza assegnati alle Regioni con la tabella riportata all’articolo due delle «aree idonee». In pratica, se un impianto offshore da 900 megawatt devasta con 60/80 pale il Golfo degli Angeli, davanti a Nora, o la Costa di Iglesias, davanti al Pan di Zucchero verso Carloforte, il vantaggio per l’Isola sarebbe quello di “scomputare” quei 900 megawatt dai 6.200 imposti alla Regione Sarda. Una vera e propria follia visto che con il meccanismo “a scomputo” la Regione, accettando il Decreto, grazie all’intesa che ha espresso venerdì scorso in Conferenza Unificata, ha scelto di “devastare” comunque un bene paesaggistico, quello terrestre o quello marino. Un’ammissione dichiarata senza troppi preamboli, come fosse una decisione saggia.

Varchi aperti

Con quel passaggio, invece, si è riaperto un varco che sembrava essere stato chiuso dai pareri tecnici espressi su tutti i progetti offshore presentati sulla costa sarda. Dichiarazioni disarmanti quelle degli esponenti dell’esecutivo regionale che hanno apertamente parlato di una “giusta” compensazione in cambio della realizzazione degli impianti eolici in mare, davanti ai tratti di costa più suggestivi della Sardegna. Sacrificare pezzi di mare, orizzonti e paesaggi marini, per una mera compensazione su un dato “falsato”, e palesemente discriminatorio e iniquo, è probabilmente il “risultato” che più di altri può segnare in modo indelebile le responsabilità politiche e soggettive su questo passaggio decisivo per il futuro dell’Isola. L’intesa, dunque, rappresenta di fatto una palese accettazione dello “scambio” che avviene proprio nel momento in cui la stessa Commissione Europea ha formalmente deferito l’Italia alla Corte di Giustizia per non aver correttamente recepito la direttiva in materia di pianificazione dello spazio marittimo relativamente all’eolico offshore. Una decisione pesantissima di Bruxelles che lascia comprendere quanto fosse “azzardato” dare il via libera a quello “scambio” mare-terra nel Decreto sulle «aree idonee», visto che sull’eolico a mare non esiste nessuna regola e soprattutto, sui progetti presentati in Sardegna, incombono incognite pesantissime a partire dall’impatto ambientale e paesaggistico sulle coste. Un’analoga denuncia sulla mancanza di una pianificazione marittima l’avevano espressa già da tempo, senza mezzi termini, i vertici della Capitaneria di Cagliari, che avevano denunciato la sovrapposizione di una valanga di progetti, tra i più disparati, posizionati in specchi acquei presi d’assalto dagli speculatori eolici senza remore. Il quesito, dunque, è d’obbligo: per quale motivo Governo e Regioni, con un ruolo principale della Sardegna, hanno scelto di negoziare aree idonee terrestri con specchi acquei marini? Nei fatti si tratta dell’ennesimo “cavallo di Troia” incardinato in un decreto sostanzialmente estraneo alla disciplina dell’eolico a mare con l’obiettivo di “coprire” il nuovo fronte, quello dell’assalto marino, con l’accordo-intesa della Conferenza unificata, anche se, in realtà, la partita è circoscritta solo a Sardegna, Sicilia e Puglia. Il Governo, con questa “apparente” concessione, ha ottenuto due risultati: ha fatto accettare alla Sardegna una soglia minima elevatissima della potenza “rinnovabile” (6.200 megawatt) e nel contempo le ha “regalato” la possibilità di distruggersi le coste a colpi di pale eoliche a mare. Un fatto è certo, a brindare di questa “intesa-capestro” non saranno certo i pescatori del tonno rosso di Carloforte, i natanti turistici e commerciali della Costa di Pula o gli amanti delle coste del sud dell’Isola. Non avranno da gioire nemmeno i turisti della Costa Smeralda o quelli della Riviera del Corallo, quelli di S’Archittu o di Teulada.

Niente festa

Non potranno certamente gioire i sardi che amano la propria terra e il proprio mare. L’Isola è circondata di progetti, tutti allo stadio avanzato della Valutazione di Impatto Ambientale. Le richieste di connessione elettrica per l’eolico offshore avanzate a Terna, il braccio elettrico dello Stato, riguardano la bellezza di 1.200 pale alte un minimo di 300 metri sino ad un massimo preventivato di 380. Mostri d'acciaio davanti ai compendi più disparati delle coste sarde, uno scempio di cui corrodersi la coscienza per l’eternità. Lo scomputo del 100%, inserito come se niente fosse all’articolo due del Decreto sulle «aree idonee», non costituisce infatti, in alcun modo un limite alla devastazione del mare, ma è semplicemente il “passepartout” per aprire le porte delle coste dell’Isola. Sull’uscio del mare sardo da tempo ci sono i colossi della finanza mondiale che non aspettano altro. Loro sì che hanno da festeggiare. Per la prima volta, da quando hanno puntato la prua sulla Sardegna, intravvedono pale e tanti denari, quelli proveniente da rigogliosi incentivi di Stato, ancora da definire per lo sfregio in mare. Ma chi sono i contendenti di questa partita “eolico-marina” che grazie a questa “intesa” si è clamorosamente riaperta?

Eni & JP Morgan

Due su tutti: Eni, la multinazionale del petrolio e del potere, e la JP Morgan, la banca d’affari più importante degli Stati Uniti d’America. Sono loro i più potenti, i più introdotti, i più scaltri, quelli che per entrare nelle stanze del potere di Bruxelles, di Roma e di Cagliari non devono mai bussare. Non lo hanno fatto nemmeno quando hanno deciso di irrompere nella Costa Smeralda, nel Golfo degli Angeli, davanti al Forte Village e alle vestigia di Nora. L’Eni, che nella partita dell’eolico offshore è entrato a modo suo, in punta di piedi, con scarpe chiodate, ha comprato una società da quattro soldi, la Ichnusa Wind srl, per metterci dentro molti zeri e tanto potere per far diventare “realistico” quel progetto velleitario destinato ad “impestare” di pale eoliche il mare intorno all’Isola di Carloforte, quella di San Pietro. JP Morgan, per non sfigurare, non ha indossato “scarpette da punta”. Quando ha deciso di scalzare soci poveri e inutili lo ha fatto con l’eleganza di un Marine dell’United States Corps, senza troppi salamelecchi. Dopo che ha letteralmente sbancato le pendici di Monte Arcosu per distendere centinaia di ettari di pannelli solari cinesi, ora punta su Nora uno, Nora due e Tibula, tra Olbia e Siniscola. Tre industrie eoliche da piazzare sulla costa ovest dell’Isola, uno al nord e due al sud. Loro, i petrolieri di Stato e i finanzieri degli States, sono pronti all’assalto.

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