Era da un po' che vedeva triste la sua bambina. Triste e insofferente al momento di andare a scuola. E lui - 43 anni, di Iglesias, papà separato, invalido al 70 per cento, ma premuroso e legatissimo alla figlia - ha iniziato a sospettare che il malessere della bambina potesse essere indipendente dall'autismo di cui è affetta.

Per quello, senza tergiversare, ha deciso di indagare e convincerla a confidarsi.

Le domande - «Stavo cucinando quando l'ho vista "strana", così ho iniziato a chiederle cosa avesse. Lei mi ha risposto con una domanda: papà, ma io sono in prima o in seconda? In seconda o in terza?».

Tanto è bastato al genitore per trasecolare e ribattere: «Lo sai benissimo che sei in quinta, perché mi dici queste cose?».

Ma è quel che la piccola ha detto dopo, ad aver provocato in lui rabbia e sconforto.

Le parole della piccola sono state un atto d'accusa nei confronti degli insegnanti, riferisce l'uomo al telefono, ripetendo ciò che ha postato sul social: «Le parole di mia figlia sono state queste: "La maestra di sostegno mi ha portato nelle altre aule per farmi sentire come leggevano gli altri e mi ha detto che io non sono neanche da scuola elementare"».

L'episodio, a Iglesias, è diventato di dominio pubblico.

Proprio perché il padre della piccola ha reso visibile a tutti il suo profilo Facebook, chiedendo aiuto per avere una divulgazione più ampia.

È quasi certo che la vicenda avrà conseguenze giuridiche: la scuola annuncia querele e il dirigente dell'istituto comprensivo di cui fa parte la classe della piccola già ieri mattina, insieme ad altri insegnanti, è andato in Commissariato per capire come muoversi.

È assai probabile che oggi venga presentata una querela per diffamazione. «È necessario tutelare gli insegnanti e il buon nome della scuola - conferma il dirigente - ci vengono addebitati dei fatti che non sono mai avvenuti e non si può accettare che vengano divulgate notizie infondate».

Il dolore - Il papà, tuttavia, dice di essere pronto a tutto perché il dolore più grande lo ha provato quando ha sentito il racconto della sua bambina: «Lei non dice bugie e io l'ho vista piangere perché non voleva più andare a scuola. Le ho promesso che sarei andato a parlare con le maestre e così ho fatto».

Il giorno successivo alla confidenza della bambina, è andato a prenderla a casa della mamma e, insieme, sono andati a scuola.

«Quando ho chiesto dell'insegnante di sostegno ad alcune colleghe, mi hanno risposto che non c'era. Allora ho raccontato loro cosa fosse accaduto e, come risposta, mi sono sentito dire che non era vero nulla, trattando me e la bambina da bugiardi. Non lo siamo, invece, né io né lei».

L'uomo dice di più: «Con l'équipe dei servizi sociali che ci segue a casa, la mia bambina lavora benissimo perché è trattata con grande attenzione, come si deve fare con tutti i bambini che hanno un problema come il suo. Da scuola, invece, non le danno neppure i compiti per casa». Trattandosi di una minore la polizia potrebbe decidere di vederci chiaro.

Cinzia Simbula

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