La Pelosa, scoperta la causa dell’erosione della spiaggia
Un team di ricercatori, attraverso un nuovo modello di indagine, è riuscito a stabilire perché la “perla” del litorale di Stintino perde progressivamente la sua sabbia: c’entra il vento, ma non soloUn modello innovativo per comprendere la circolazione marina, l’evoluzione delle spiagge ed indagare le cause dell’erosione costiera, in special modo nel mar Mediterraneo. È quello sviluppato da un team di ricercatori di Cnr, Università di Sassari e di Cagliari ed Enea e che ha permesso di chiarire la causa dell’erosione della spiaggia La Pelosa di Stintino, «sempre più colpita dagli effetti del cambiamento climatico e, negli ultimi 30 anni, da una crescente erosione».
LE CAUSE – I ricercatori – che hanno pubblicato uno studio sulla prestigiosa rivista internazionale “Geological Society Publications” proprio alla vigilia della Giornata Europea del Mare, che si celebra il 20 maggio – hanno concentrato le loro indagini sullo Stretto degli Asinelli, che separa il mare della Sardegna dal golfo dell’Asinara, «il cui fondale è caratterizzato da una complessa e intrecciata distribuzione di rocce, sabbia, prateria di Posidonia oceanica e mutevoli sistemi di dune sottomarine». E hanno, appunto, appurato i motivi dei cambiamenti che interessano da anni La Pelosa, uno dei luoghi simbolo della Sardegna a livello naturalistico: «In pratica – spiegano gli esperti – la sua estensione e la sua forma variano in base all’innalzamento del livello del mare, alla prateria sottomarina di Posidonia, ma anche al regime dei venti. Quest’ultimo può generare la perdita di sabbia dalla spiaggia quando i granelli vengono trasportati a ovest, verso un canalone che li fa depositare a profondità di 15-30 m, da dove poi non riescono più a risalire».
Grazie all’approccio metodologico messo in campo i ricercatori sono dunque riusciti a ricostruire la vera e propria “storia evolutiva” di questo ambiente molto particolare e potranno contribuire alla riqualificazione ambientale del sistema spiaggia-duna di Stintino.
IL MODELLO – «La particolarità del modello messo a punto dai ricercatori – viene spiegato - sta nel fatto di combinare analisi del vento e del moto ondoso, indagini subacquee, sensoristica, interpretazioni di foto aeree, ma anche scansioni del fondale con prospezioni geofisiche (come Side Scan Sonar, Sub Bottom Profiler e Multi Beam) ed implementazione di modelli numerici ad alta risoluzione. Oltre alla comprensione del comportamento degli stretti marini, vere e proprie “vie d’acqua” che mettono in collegamento diversi bacini, il modello consente anche di studiare la circolazione dei sedimenti in condizioni di basse oscillazioni di marea dove il regime dei venti, mutevole per effetto dei cambiamenti climatici, è il primo responsabile delle dinamiche ambientali».
GLI ESPERTI – «La comprensione degli stretti e dei collegamenti tra diversi bacini è fondamentale per i sistemi deposizionali sedimentari attuali, per le ricostruzioni geologiche regionali e per l'evoluzione tettonica e paleogeografica su larga scala e a lungo termine», spiega Stefano Andreucci dell’Università di Cagliari, primo autore del lavoro.
«La comprensione dei processi che interessano lo stretto tra La Sardegna e l’Isola dell’Asinara – , evidenzia invece Vincenzo Pascucci dell’Università di Sassari - non è importante solo per l’interesse e valore economico della spiaggia di Stintino, ma è utile anche per il completamento del Foglio Geologico della zona che si sta completando. Per questo la nostra università ha investito notevoli risorse, umane ed economiche negli ultimi venti anni per acquisire dati nell’ambito di diversi progetti di ricerca che hanno consentito di raccogliere molte informazioni nell’area di studio».