La morte di Michela, uccisa da quei video hard: due uomini a processo
La ragazza non aveva retto all'umiliazione e si era tolta la vita a Porto TorresPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Sono arrivati da Porto Torres nel Palazzo di Giustizia di Tempio, la madre e il padre di Michela Deriu. Silenziosi, insieme all'avvocato Arianna Denule, hanno atteso l'inizio dell'udienza preliminare sulla vicenda che ha portato al suicidio della loro Michela.
Un'altra prova dolorosa, per la famiglia della barista di 22 anni che il 4 novembre del 2017 si è tolta la vita nella casa di un'amica a La Maddalena. Dove, secondo la Procura di Tempio, si era rifugiata per allontanarsi dalla vergogna e dal dolore.
Ieri è iniziato il procedimento a carico dei due uomini che, stando alla ricostruzione del pubblico ministero Gianluigi Dettori (pm in aula, Laura Bassani), diffondendo immagini di un rapporto sessuale con la ragazza, l'hanno gettata in un baratro di umiliazioni e paura, sino alla tragica decisione del 4 novembre 2017. Gli imputati sono Mirko Campus, 24 anni, e Roberto Costantino Perantoni, 29, di Porto Torres, accusati di diffamazione aggravata e della morte di Michela come conseguenza della diffusione dei video. Il primo atto dell'udienza preliminare è stata la costituzione di parte civile, contro Campus e Perantoni, dei familiari di Michela Deriu, assistiti dagli avvocati, Arianna Denule e Gianni Falchi. Un'altra decisione, emersa a margine dell'udienza (tenuta dal gup del Tribunale di Tempio, Caterina Interlandi) riguarda la perizia (postuma) sulle condizioni psico-fisiche di Michela Deriu, un accertamento affidato a uno specialista per fornire al giudice e alle parti nuovi elementi sul dramma consumato in un appartamento di La Maddalena. La Procura di Tempio ha cambiato orientamento, non chiederà più gli accertamenti medico legali.
Video negati alla difesa
Il processo si è aperto con uno scontro tra il pm e i difensori di Campus e Perantoni, sulla copia forense dei filmati che, stando all'ipotesi del pm, vennero fatti circolare a Porto Torres tra settembre e ottobre del 2017. Il penalista Agostinangelo Marras, legale di Campus, è stato particolarmente duro: «Abbiamo chiesto due volte i file e la Procura non ha risposto. Questo materiale deve essere a disposizione delle difese». Concetto ribadito anche dall'avvocata Sabina Piga, difensore di Roberto Costantino Perantoni. E la richiesta delle copia forense dei filmati è stata fatta dal legale di parte civile, Arianna Denule. Il gup Caterina Interlandi ha ordinato che entro il 10 luglio (data della prossima udienza) i file vengano messi a disposizione degli avvocati. I filmati, che ritraggono Michela insieme ai due imputati, sono l'elemento centrale del procedimento. Anche se, per le difese, non esiste un nesso di causalità, tra la tragica decisione della barista e la diffusione delle immagini. Michela Deriu, è questa la linea delle difese, era tormentata da altri pensieri. Altre persone la perseguitavano, sostengono i legali di Campus e Perantoni, per questioni che niente hanno a che vedere con i video. Si parla di debiti, sui quali, però, non è mai stata fatta chiarezza. Per i legali di parte civile, invece, ciò che è chiaro, è il dolore provocato dalla circolazione dei filmati a Porto Torres, la sofferenza della quale la vittima parla in alcuni messaggi, ora agli atti. Per questa ragione, la famiglia di Michela sarà in aula e chiederà conto di quanto è avvenuto due anni fa.
«Non ho mostrato nulla»
Mirko Perantoni ha già respinto tutte le accuse: «Non ho mai mostrato quei video, non ho fatto vedere le immagini di Michela». Le difese non hanno fatto richiesta di riti alternativi, si va verso un procedimento ordinario. Anche perché, se Campus e Perantoni dovessero andare a giudizio, le difese vogliono sviscerare in aula la storia di Michela Deriu, in tutti i suoi aspetti.
Andrea Busia