«È stato emozionante ritornare qua nell’isola dell’Asinara, ho apprezzato la calorosa accoglienza. Non ho la mente lucida di un tempo ma ricordo che questo posto allora era pieno di prigionieri, con donne e bambini etiopi che vivevano in una sola casa, con un solo punto di riferimento dove poterci rifornire di cibo».

Negli occhi di Yeweinshet Beshah-Woured, oggi 94enne, unica testimone diretta di un periodo drammatico della storia etiope-italiana, si legge il desiderio di ritornare nel luogo in cui ha vissuto per diversi mesi, insieme ai circa trecento deportati dall’Etiopia quando di anni ne aveva soltanto sei.

Lo ha fatto a distanza di quasi novant’anni insieme ad altri 60 discendenti dei confinati etiopi, per condividere un momento di commemorazione. Hanno visto di persona un’isola che riserva loro un posto, tracce di storie di deportazione di un popolo represso dal Regio esercito italiano e, dal 1937 al 1939, in parte esiliato all’Asinara nel periodo in cui l’Italia e il suo regime dittatoriale perseguì l’obiettivo di costituire nel Corno d’Africa un futuro coloniale. Strascichi di una tragedia raccontata nelle quattro giornate organizzate tra Porto Torres e l’Asinara dal 5 all’8 agosto, una iniziativa di grande valore culturale che ha riaperto una pagina triste di storia per non dimenticare.

Il progetto dal titolo “Dall’oblio alla memoria. Storia dei deportati etiopi all’Asinara 1937-39”, è frutto di una ricerca meticolosa a cura della cooperativa Sealand Asinara, una idea nata in collaborazione con il Parco Nazionale dell’Asinara, il Comune di Porto Torres, l’Associazione delle Guide Esclusive dell’Asinara (A.Gu.A) presieduta da Paola Fontecchio e la Rete Educando Asinara.

«Mi sentivo al sicuro perché vicino a me c’era la mia mamma che allora era incinta, e mio fratello di quattro anni. Non ho brutti ricordi ma rammento che in seguito ci trasferirono a Roma», aggiunge ancora Yeweinshet Beshah-Woured, deportata all’Asinara dopo che uccisero il padre nella strage di Addis Abeba. Ministri, magistrati, soldati, ambasciatori, membri dell’elite e della classe dirigente etiope, furono deportati sull’isola dal mese di marzo del 1937 e il luglio del 1939, dopo l’attentato ad Addis Abeba contro il vicerè di Etiopia, Rodolfo Graziani.

Un attacco compiuto nella tarda mattinata del 19 e il 21 febbraio del 1937 da due giovani partigiani eritrei che lanciarono alcune bombe a mano verso le autorità fasciste, presenti a una cerimonia nel palazzo Guennet Leul.

La reazione fu una violenta rappresaglia, un vero e proprio massacro della popolazione etiope, con migliaia di vittime e il confino di tutti coloro ritenuti autori dell’attentato.

Alcuni di loro, ben 291 esponenti di primo piano del deposto imperatore Hailé Selassié, furono confinati all’Asinara nel campo di raccolta e allestimento. Uomini, donne e bambini strappati alla loro terra e costretti a vivere in isolamento, privati di ogni possibilità di ritorno. Pezzi di storia raccontata nella giornata del convegno, il 5 agosto, che ha visto protagonista Elfy Getachew Nouvellon, conosciuta per il suo prezioso impegno da archivista che le ha permesso di ricostruire l'albero genealogico e di riunire i discendenti dei deportati etiopi, giunti per l’occasione da ogni parte del mondo, dall’Australia, dagli Stati Uniti, dal Canada ma anche dalla Germania e dalla Francia. Presenti anche i figli di Elfy, Sarah e Menelik Nouvellon.

«Mia madre ha cercato di ricostruire la storia di famiglia, attraverso un articolo pubblicato su un giornale web, dove è tracciato il passaggio degli etiopi all’Asinara- spiega Sarah – e da lì è partita la grande ricerca. È stato scoperto che Elfy è la pronipote di Haile Wolde Meskel, figlio di Tsehafi Tehezaz Wolde Meskel Tariku, eminente statista etiope che fu ministro sotto diversi imperatori».

Haile fu deportato all’Asinara nel 1937 insieme a suo padre e a suo fratello Maheteme Sélassié. Profondamente provato dal lungo viaggio e dalle dure condizioni di detenzione, morì pochi mesi dopo, nel settembre 1937, all’ospedale civile di Sassari e sepolto nel cimitero cittadino. Il convegno ha visto la partecipazione di Valeria Deplano e Alessandro Pes dell’ Università di Cagliari, oltre ad Andrea Giuseppini curatore del sito campifascisti.it. Sono intervenuti anche il commissario e il direttore del Parco, Gianluca Mureddu e Vittorio Gazale.

Il giorno successivo sull’isola (6 agosto), a Cala Reale, in quello che fu l’ospedale delle malattie infettive, è stata apposta una targa in memoria dei deportati, seguita da preghiere tradizionali etiopi. Visita anche al cimitero del Campo Faro dove fu seppellito il figlio Gedeon della principessa Romane Work, primogenita dell’imperatore di Etiopia, Hailé Selassié, fatta rapire da Mussolini e confinata nell’isola.

Il progetto ideato da Paola Fontecchio ha previsto la visita di una delegazione etiope al sindaco Massimo Mulas, seguita da un convegno partecipato alla sala Filippo Canu (7 agosto), con testimonianze dirette dei discendenti dei deportati etiopi. Una occasione anche per riabbracciare Gianfranco Massidda, ex fanalista dell'isola oggi 92enne. La serata dell’8 agosto si è conclusa con la performance dell’artista italo-etiope, Gabriella Ghermandi. 

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