Trump sta facendo esattamente quello che aveva annunciato prima di essere eletto presidente e diventare l'uomo più potente del mondo.

Proteggere le produzioni americane. Come? Imponendo dazi doganali, una sorta di tassa di sbarco per tutti i prodotti extra Usa. Le regole sul tavolo sgangherato del commercio mondiale lo consentono. Bruxelles e Pechino alzano la voce. E per ripicca, provano a fare altrettanto con il Made in Usa. Ma siamo noi europei a soccombere in questo braccio di ferro, considerata l'importanza, per la nostra bilancia commerciale, dello sconfinato mercato a stelle e strisce.

A pagare dazio sono soprattutto le nostre produzioni agroalimentari, già fiaccate da quattro anni di embargo russo, deciso in risposta alle sanzioni dell'Europa per le (dimenticate) vicende ucraine. E se attorno al Wto - quel tavolo sgangherato di cui sopra - l'Unione europea abbassa la guardia, è soprattutto l'Italia a prendere cazzotti. Un esempio? Il riso. Siamo il primo produttore del Vecchio Continente, ma subiamo l'invasione - a dazio zero - di produzioni in arrivo dal sud-est asiatico. Una concorrenza sleale in nome di equilibri che Trump disconosce ma che noi dobbiamo garantire. Qual è il problema? In questi Paesi non è ben chiara quale sia l'attenzione sanitaria tra le risaie, dove certamente viene sfruttato il lavoro minorile.

Prendiamo la Birmania. Sullo sfondo ci sono anche le accuse di genocidio, denunciate dall'Onu e dal Papa. Vengono calpestati i diritti dei lavoratori, ma soprattutto la dignità umana. Eppure, lo scorso anno, le importazioni agevolate di riso birmano sono cresciute, in Italia, del 736%. Le organizzazioni agricole si sono messe di traverso, ottenendo da Bruxelles una commissione d'inchiesta sul riso asiatico. Per la risposta ci vorrà un anno.

Nell'attesa, l'invasione continua. Se un nostro produttore di Oristano di Arborio o Carnaroli non paga i contributi o non rispetta il quaderno di campagna (ci annoti gli agrofarmaci utilizzati), chiude. In fondo, con i controlli di Guardia di Finanza, repressione frodi, Nas, Noe, Forestale, ispettori del lavoro, dell'Inps e via via elencando, come fa (il nostro produttore) a sgarrare? E se non crolla sotto il peso della burocrazia, finisce schiacciato dal prezzo del riso che viaggia per gli Oceani nelle stive e arriva qui, dalla Birmania di turno, a straccu barattu .

In attesa che il nostro Bel Paese abbia un governo, meglio se capace di spostare verso Roma l'asse Berlino-Parigi, noi sardi dimenticati nella nostra fantastica isoletta qualcosa possiamo cominciare a fare. Intanto leggiamo l'etichetta. E se il riso di Simaxis o di Cabras costa un po' di più, le ragioni sono quelle indicate poco fa.

Sì, certo, l'autonomia alimentare è una chimera, ma già da oggi, nel nostro carrello, mettiamo quanta più Sardegna possiamo, senza che Mamma Europa possa accusarci, alla cassa, di violare la concorrenza comunitaria, quella che ci contestano per i biglietti aerei a tariffe scontate. Sullo sfondo resta il problema-dazi, con la voglia matta di protezionismo di Trump. E aspettando gli sviluppi, con tutto il rispetto, "Mr. President", buffadì unu brodu .
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