Ha lavorato una vita all'ospedale Marino di Cagliari. Ma da 25 anni pur facendo il chirurgo di professione, Aldo Lobina, 65 anni di Sinnai, consigliere comunale, si occupa con tanta passione anche di agricoltura. Il decreto firmato dal presidente della Regione Solinas che gli consente di recarsi nei suoi piccoli appezzamenti di terra, è stato come una mana dal cielo. Si sente più tranquillo. Come tutti coloro che amano trascorrere qualche ora a fare il contadino in Sardegna.

Dottor Lobina, lei è figlio di uno storico maestro elementare, come ha iniziato a fare anche l'agricoltore? "Ho acquisito terre incolte e le ho trasformate. Recintandole, portandoci l'acqua e lavorandole direttamente. Vi ho impiantato un uliveto, un frutteto, una vigna e l'orto di stagione. Ho partecipato nel tempo a corsi di agronomia. Così ho appreso da veri maestri tecniche di potatura e innesto e trattamento delle colture. Ne sono stato sempre ripagato, in tutti i sensi. Ho imparato quello che si deve sapere e saper fare per seguire la vigna e ogni anno faccio il vino. Produco anche l'olio di oliva per me e i miei figli.Non sono un latifondista, ma ogni metro quadro del mio poderetto è curato. Tutto questo è potuto succedere anche e soprattutto per l'aiuto che continuo a ricevere dalla competenza di amici che ho la fortuna di avere".

Ora è in pensione, fa il consigliere comunale. Ma la campagna continua ad attrarla?

"Quando lavoro in campagna mi considero un piccolo agricoltore. Non vivo certo di agricoltura. Ma quanti sono quelli che ci vivono? Pochi purtroppo. Conosco persone, imprenditori agricoli, che possiedono vigneti a vista d'occhio, che l'anno scorso non sono rientrati nelle spese. In effetti per misurare i proventi della terra so che bisogna considerare un ciclo di almeno sette anni: un anno buono, uno così così, in una altalena di risultati che solo la diversificazione delle colture può contenere. Qualcuno considera erroneamente agricoltore solo chi ha grandi estensioni di terra. Io sono propenso a ritenere che sia tale invece chi si dedica con passione alla terra e al suo mondo, alla sua ricca cultura contadina, piena di saggezza.

Nel mio paese, anzi nella mia cittadina, oramai i grandi agricoltori si contano nelle dita delle mani. La maggiore parte sono piccoli agricoltori, che hanno mantenuto la tradizione familiare, o nuovi piccoli coltivatori, la cui misura non è la grandezza dei terreni, ma la buona volontà, l'impegno e la voglia di migliorare. Starei molto attento a non banalizzare o snobbare i piccoli agricoltori".

Il motivo?

"Perchè messi insieme, coltivano ettari e ettari di territorio, da cui non solo ricavano frutti, ma di cui sono anche custodi. Contro la barbara abitudine delle discariche a cielo aperto e contro gli incendi. Ritengo ingiusto che per editto uno come me non possa continuare a seguire le sue cose, se, facendole, non corre il rischio di contagiarsi o di contagiare altri in tempo di epidemia. Sono meravigliato di chi enfatizza le disposizioni regionali in materia, interpretandone male il significato.

La Regione infatti, permettendo a chi ha un poderetto di continuare a seguirlo, non si è riferita all'ISEE di ciascun operatore, ma ha dato l'importanza giusta all'uso privato della produzione, che, a fronte anche di un piccolo vantaggio economico suppletivo, assicura soprattutto la qualità di un prodotto a chilometro zero al quadrato, frutto vero di impegno civile, di lavoro e buona volontà, anche nel solco delle nostre tradizioni più vere. A queste persone dobbiamo essere tutti riconoscenti. E incoraggiarle, con le dovute cautele, in un momento difficile come quello attuale. Proviamo a immaginare come sarebbero le nostre campagne senza questi piccoli agricoltori. E quanto sedentarismo improduttivo! Bene ha fatto la Regione a dare indicazioni meno restrittive, permettendo anche a me di provvedere ai miedi poderi, alla mia uva, alle mie olive, alle mie albicocche, non ci voglio rinunciare".
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