Tragedia nella casa circondariale di Uta dove un detenuto sardo di 57 anni – Paolo Ledda, coinvolto in vari casi di cronaca - è stato trovato morto in una cella del Servizio Assistenza Intensiva.

«Questo episodio, i cui contorni saranno chiariti anche attraverso una eventuale perizia necroscopica disposta dal Magistrato, richiama – scrive in una nota l’associazione “Socialismo Diritti Riforme” – l’urgenza di una sanità penitenziaria adeguata ai bisogni di donne e uomini privati della libertà. È vero che l’intero sistema sanitario regionale sta mostrando tutte le manchevolezze accumulatesi negli anni, ma è altrettanto vero che le carenze sono diventate urgenze e manca una vera e propria integrazione tra il Reparto diagnostico terapeutico della Casa Circondariale, strutturato e gestito da ASL e AREUS, con quello degli analoghi reparti degli ospedali. Il Direttore Sanitario di Cagliari-Uta ha lo stesso grado di competenze e responsabilità di un collega dirigente ma per disporre un ricovero deve chiedere il permesso e così anche per un qualunque intervento chirurgico, a meno che il paziente-detenuto non sia in punto di morte. Per non parlare delle condizioni di vita di chi soffre di disturbi psichiatrici. Persone che, se non sono in isolamento, sostano nelle celle inermi con psicofarmaci».

Inoltre, prosegue l’associazione, «nella Casa Circondariale di Cagliari-Uta (con 575 detenuti oltre il limite regolamentare di 561 posti), dove il caldo scioglie perfino gli abiti addosso e limita la respirazione, mancano da gennaio gli specialisti di oculistica e dermatologia, ginecologia e neurologia, da 4 mesi. Non è possibile – sottolinea Maria Grazia Caligaris – continuare a ignorare questa situazione pensando che si può sopperire con le visite ospedaliere. Accompagnare un/una detenuta in un nosocomio richiede l’autorizzazione della Magistratura di Sorveglianza e/o di un Giudice, necessità della disponibilità della scorta, condizionata dallo scarso numero di agenti, il risultato è che le persone con necessità di controlli per patologie importanti rischiano di aggravarsi. L’assenza di poter accedere a una visita specialistica come nel caso della ginecologia e/o dermatologia e/o neurologia e/o oculistica esaspera gli animi di chi si sente abbandonato con reazioni inconsulte. Finora nonostante l’impegno dell’assessore regionale Carlo Doria non si è concretizzato neppure l’apertura di un reparto penitenziario ospedaliero. Insomma – conclude Caligaris – esprimiamo la vicinanza alla famiglia del detenuto deceduto ma richiamiamo ancora una volta l’attenzione su una sanità penitenziaria da riorganizzare».

(Unioneonline/s.s.)

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