La polvere che si sprigionava a Terrasili, cantiere della Fluorsid in territorio di Assemini, per Marcello Pitzalis e i colleghi costituiva "un evidente problema" di inquinamento, vista la "massiccia diffusione nell'ambiente".

Ma l'operaio, a stretto contatto con una delle più importanti società al mondo nella produzione di acido solforico e derivati dal fluoro, non aveva "scelta: se volevo portare a casa lo stipendio dovevo necessariamente adeguarmi e utilizzare i pochi e inadeguati mezzi a disposizione. Ho sempre e soltanto eseguito le disposizioni che mi venivano impartite".

INTERROGATORIO - Intascare ogni mese lo stipendio necessario a mantenere la famiglia e far finta di niente oppure rifiutarsi di eseguire gli ordini, mollare tutto e raccontare cosa accadeva a Macchiareddu.

Dal verbale dell'interrogatorio reso in carcere il 18 maggio al pm Marco Cocco, due giorni dopo l'arresto da parte del Nucleo provinciale della Forestale nell'inchiesta per associazione a delinquere, inquinamento e disastro ambientale, emerge la scelta del 42enne di Cagliari durante la permanenza alla ditta Ineco di Armando Bollani, imprenditore le cui società svolgevano lavori di logistica per la Fluorsid (75 anni, è agli arresti domiciliari per la stessa vicenda).

Era stato assunto a tempo indeterminato nel marzo 2016 per sostituire come capo cantiere Simone Nonnis, anche lui finito in cella per i medesimi motivi (ora è a casa) e protagonista di un faccia a faccia col magistrato inquirente lungo 8 ore.

"Sovrintendevo alle lavorazioni allo stabilimento Fluorsid e al cantiere di Terrasili», spiega Pitzalis al pubblico ministero: «Rispondevo all'ingegnere Alessio Farci di Fluorsid e a Sandro Cossu e ai suoi sottoposti per la parte ambientale".

Anche Farci e Cossu sono stati arrestati su ordine della gip Cristina Ornano, come il direttore Michele Lavanga (dimessosi dall'incarico venerdì) e Giancarlo Lecis (funzionario Fluorsid, è ai domiciliari).

TERRASILI - Dal cantiere si potevano ricavare "gesso e biscotti fluoritici", e il gesso "poteva essere venduto vagliato, cioè privo della polvere, o non vagliato, meno pregiato".

A Terrasili, dove aveva lavorato da febbraio ad agosto 2016, "c'era un frantoio" per "la frantumazione del gesso" che produceva "enormi quantità di polvere".

Però i mezzi "di mitigazione ambientale erano evidentemente inadeguati": il "cannone idrico", dalla "funzione prevalentemente scenografica"; e "la macchina bagna strada", il cui passaggio "non riusciva a ridurre la polvere".

LA POLVERE - Tra l'altro della povere "non si sapeva cosa dovessimo fare".

Circa "mille tonnellate, su disposizione della Fluorsid, erano state usate per colmare un'ampia voragine scavata in precedenza. Avevo ordinato di bagnarle e rullarle per raggiungere il piano di campagna".

Altre "5 o 6 mila tonnellate erano state accumulate vicino al confine del cantiere a ridosso di un corso d'acqua, poi erano state spostate per realizzare un piazzale dove stoccare il gesso".

Nel cantiere erano stati trovati "rifiuti vari", soprattutto "residui di demolizioni ma anche ferrosi e gomme", poi "avviati in discarica".

Nella stessa area erano state "cavate" circa "10 mila tonnellate di biscotto fluoritico", materiale di "consistenza simile al fango ma più asciutto".

ALLA FLUORSID - Nello stabilimento Pitzalis si era "rigorosamente" attenuto "alle richieste. Predisponevo o facevo predisporre le buche". Nessuna denuncia, "temevo di perdere il posto".

C'erano prodotti, come i "fanghi acidi" e la "morchia acida derivante dalla pulizia dei bacini di depurazione", che venivano "sversati nella montagna del gesso".

Aveva avuto "dubbi per gli effetti sulla salute dei lavoratori", le cui mascherine avevano solo una «parziale adeguatezza" vista la "polvere finissima".

Ma i lavori erano andati avanti. Sino agli arresti. Oggi Pitzalis, difeso dall'avvocato Luigi Sanna, è ai domiciliari.

Andrea Manunza

© Riproduzione riservata