L’accusa è pesantissima: in otto avrebbero picchiato a sangue un detenuto, usando anche dei manganelli che poi sarebbero stati fatti sparire. Un presunto pestaggio - su cui per mesi hanno indagato gli ispettori del Provveditorato regionale delle carceri e la magistratura - che ricorda molto da vicino lo scandalo esploso di recente a Santa Maria Capua Vetere ma che nell’Isola ha coinvolto nove agenti penitenziari in servizio a Uta e Badu ’e Carros, finiti ora nel mirino della Procura di Nuoro che ha chiuso l’indagine preliminare e si prepara a chiedere il rinvio a giudizio. Un nono agente è accusato solo di falso.

Le accuse

I fatti contestati risalirebbero al 12 agosto dell’anno scorso, quando nel carcere di Uta arrivò l’ordine di trasferire a Nuoro il detenuto albanese Luca Leke, 36 anni. Una volta arrivati a Badu ’e Carros, durante le fasi di immatricolazione, gli agenti della sua scorta e alcuni colleghi nuoresi l’avrebbero pestato a sangue, causandogli una prognosi di oltre 40 giorni. Nel referto medico si parla di lesioni multiple agli arti superiori, frattura del radio del polso sinistro, tagli, escoriazioni, ecchimosi e bernoccoli in testa. Il pm nuorese Riccardo Belfiori ha contestato le lesioni aggravate agli agenti Arnaldo Boi (53 anni, di Capoterra), Alessandro Carta (49, di Serdiana), Graziano Falchi (58, di Bolotana), Gianfranco Antonio Farris (55, di Siniscola), Raffaele Medda (52, di Assemini), Augusto Adriano Ferrante (28, di Capoterra), Fabio Piras (50, di Gavoi) e Alessandro Virdis (47, di Bono). Per tutti la Procura ipotizza anche varie aggravanti: l’uso dei manganelli, l’aver agito in più persone, oltre che con crudeltà e con una violenza non necessaria al contenimento del detenuto. Per tutti, poi, c’è l’abuso d’autorità. Nei confronti di Arnaldo Boi, Augusto Adriano Ferrante e di Eduardo Leonardo (52, anni di Assemini), inoltre, si contesta l’imputazione di falso: avrebbero dichiarato che i manganelli siano entrati in carcere a Nuoro solo per pochi istanti, venendo subito riportati all’esterno. Si tratta di armi bianche che non possono entrare se non con l’autorizzazione del direttore. In realtà - per il pm - sarebbero stati usati per pestare a sangue Luca Leke, accusato a sua volta di minacce. Avrebbe urlato agli agenti: «Se venite uno per volta vi ammazzo tutti», promettendo loro delle ritorsioni.

L'indagine

A far scattare l’inchiesta è stata la relazione inviata in Procura dal Provveditorato per le carceri a seguito di quanto stava via via emergendo nel corso del provvedimento disciplinare avviato dopo la relazione medica. Stando alle poche indiscrezioni filtrate, pare che il 12 agosto dello scorso anno un secondo detenuto avesse in programma degli accertamenti medici: così dopo il viaggio da Uta, invece di lasciare Luca Leke a Badu ’e Carros e poi proseguire per l’ospedale, la scorta della Polizia penitenziaria avrebbe deciso di fermarsi prima per le visite. L’attesa potrebbe aver innervosito il detenuto ed esasperato gli animi. Una volta arrivati in carcere, dunque, sarebbe scattato il pestaggio a suon di manganellate. Chiuse le indagini, la Procura ha così incriminato formalmente otto agenti (un nono solo per falso) per le lesioni: parte della scorta arrivata da Uta con il giovane e alcuni dei colleghi nuoresi che avrebbero dovuto prenderlo in consegna dopo l’immatricolazione. Ora gli atti saranno messi a disposizione degli avvocati difensori che potranno effettuare produzioni, presentare memorie o chiedere al pm che i propri assistiti vengano interrogati. Poi la Procura deciderà se chiedere al giudice il rinvio a giudizio.

Francesco Pinna

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