Tasse, burocrazia e crisi economica non sembrano allentare la morsa. "Ecco perché fare impresa al giorno d'oggi è una vera impresa". Vito Arra si affida a un gioco di parole per sdrammatizzare i problemi di una vita da artigiano.

Ogliastrino, titolare di un pastificio di Lanusei, si definisce un sopravvissuto della crisi. "Affrontata senza mai aver comprato un voucher - tiene a sottolineare -. Ho venti dipendenti, di cui diciassette assunti con contratto a tempo indeterminato, tre tirocinanti e poi ci siamo io e mia moglie". Una scelta precisa, quella di non sfruttare il lavoro precario, che ha tuttavia un prezzo salato da pagare, soprattutto per chi decide di rispettare la legge e la dignità dei propri dipendenti.

I CONTRIBUTI - "Non voglio medaglie per quello che faccio, ma l'assunzione stabile di nuovo personale è ormai diventata una decisione rischiosa. I miei collaboratori dovrebbero rappresentare una risorsa, non un peso a cui rinunciare per esigenze di bilancio. Ogni dieci del mese, invece, dal mio commercialista arrivano gli F24 con cui pagare i contributi previdenziali. Decine di migliaia di euro che vanno via, a volte senza capire per quale motivo". La bilancia è infatti sempre più squilibrata: tartassati dal Fisco senza avere niente in cambio.

GLI OSTACOLI - E poi c'è la tanto temuta delocalizzazione. Migliaia di imprenditori italiani che hanno deciso di varcare i confini e lavorare nell'Est Europa. Con costi di gestione infinitamente più bassi, burocrazia snella, infrastrutture efficienti e collegamenti veloci ed economici. "Come poter dar loro torto - confessa Arra -. Poche settimane fa ho dovuto soddisfare un ordine dell'ultimo minuto per un cliente del Nord Italia. Spedirlo mi è costato 450 euro, uno sproposito se confrontato a quello che pagherebbero per esempio in Slovenia. E poi c'è da considerare il costo esagerato dell'energia che consumiamo, uno dei tanti ostacoli che deve superare ogni giorno un artigiano sardo".

LA SFIDA - Fortuna che c'è ancora qualche settore che è riuscito a sfuggire alla globalizzazione. "Gli affari vanno bene e l'azienda cresce ogni anno, confezioniamo ed esportiamo pasta fresca, sebadas, malloreddus e culurgiones. L'alta qualità delle produzioni ci ha salvato dalla concorrenza di aziende straniere, ma non è facile portare avanti l'attività quando le tue idee e il tuo lavoro vengono messi a rischio dalle poche sicurezze che lo Stato ti dà. Non a caso la Liberazione la festeggio due volte l'anno: il 25 aprile e ad agosto, quando finisco di lavorare per pagare le tasse e inizio a farlo per le mie tasche".
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