Alle 17.50 di martedì scorso un Boeing 777 è atterrato sulla pista dell'aeroporto di Roma-Fiumicino. Era decollato dodici ore prima da Pechino, capitale della Cina ostaggio del coronavirus, l'epidemia che ha già provocato oltre 130 morti, con più di 6mila casi di contagio accertati.

A bordo c'era anche Manuela Mameli, la cantante 31enne di Triei che dal 16 ottobre si trovava a Shanghai per un tour musicale. Avrebbe dovuto proseguire il soggiorno professionale sino al 18 febbraio. Ma il virus l'ha costretta a chiudere anzitempo le valigie e a mettersi in fuga verso casa. Insieme a lei il fratello Giovanni, batterista di 28 anni, Enrico Mianulli (38), di Viterbo, ed Emanuele Rizzo (32), di Roma. Tutti componenti del "Manuela Mameli quartet", band di musica jazz.

Il racconto - Il tour musicale procedeva come da copione. Durante i concerti il jazz club di Shanghai dove si esibiva il gruppo veniva preso d'assalto da centinaia di appassionati. Fino a metà gennaio, quando la psicosi da coronavirus ha stravolto le abitudini quotidiane della popolazione. "In soli tre giorni - racconta la cantante - è cambiato tutto. Il locale e le strade erano deserti. Chiaro segnale che qualcosa di serio stava accadendo". Tuttavia l'artista ha portato avanti il suo impegno, sebbene avesse intuito che intorno soffiavano venti di paura e incertezza. "Avevo quasi timore di fare domande su ciò che stava accadendo. Avevo il sentore che anche la proprietaria del club fosse in confusione. Giovedì scorso, mentre ci stavamo esibendo sul palco, mi ha fatto cenno di interrompere. In quel momento è iniziata la mia paura".

Tensione altissima - A stretto giro la cantante ha ricevuto sul telefono un messaggio dalla manager cinese del locale: "Ci informava dell'ordinanza di sospensione di tutte le attività culturali in corso nella città. In quel momento sono stata travolta dalle emozioni, mi sono sentita crollare il mondo addosso. Avevo anche il peso della responsabilità della mia band. Il primo pensiero? I manager non nascondevano la paura e dunque lì ho preso consapevolezza che nessuno poteva proteggerci e la situazione era andata fuori controllo". Nell'attesa di maggiori informazioni, Manuela Mameli e i suoi colleghi, ricevute le mascherine di protezione, si sono barricati in casa, con l'ordine perentorio delle autorità di evitare qualsiasi tipo di contatto col mondo esterno.

La partenza - Per i quattro ragazzi, i giorni successivi sono stati ad alta tensione. "Ho avuto un confronto con la band e alla fine, constatando che la situazione peggiorava di ora in ora, abbiamo scelto di rientrare a casa e il primo pensiero è corso al primo volo disponibile". Ma a quel punto anche prenotare il rientro stava diventando un'impresa, con le autorità che hanno annullato decine di viaggi verso il resto del mondo per evitare potenziali contagi. "Ci hanno prenotato un volo con scalo a Pechino e durante i vari trasferimenti all'interno dell'aeroporto il personale medico monitorava la temperatura corporea di ciascun passeggero. La paura più grande - conclude Manuela Mameli - era che ci rilevassero qualche linea di febbre: ci avrebbero bloccato in Cina. Solo quando siamo saliti sull'aereo per Roma ho creduto che saremmo realmente potuti rientrare a casa".

Roberto Secci

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