Ci sono un mucchio di misteri nei cinque chilometri che separano Lotzorai dal punto in cui, a Tortolì, Mosè Cao è stato salutato da un familiare che lo ha accompagnato in auto per un appuntamento concordato. E c’è un buco ormai di sei giorni che alimenta il giallo e soprattutto la paura. Perché la famiglia del 58enne di Lotzorai non scarta alcuna ipotesi, neppure quella più drammatica.

I carabinieri della compagnia di Lanusei, coordinati dal procuratore capo Biagio Mazzeo che ha aperto un fascicolo d’inchiesta sulla sparizione del pregiudicato, scavano nei rapporti che l’uomo ha stretto soprattutto negli ultimi tempi. Fondamentali potrebbero essere i tabulati telefonici per capire con chi si è messo in contatto nei giorni precedenti la sparizione, denunciata lunedì mattina dai familiari ai militari della stazione di Santa Maria Navarrese.

Il mistero

Il 58enne, casa nel centro storico e lavoro nel cantiere sociale del Comune, è sparito nel nulla dal tardo pomeriggio di sabato. Poco prima era stato accompagnato a Tortolì da un familiare. Doveva incontrare qualcuno. Forse un appuntamento concordato nelle ore precedenti. Sta di fatto che chi lo ha portato nella cittadina, dopo qualche ora senza avere contatti ha manifestato le prime preoccupazioni e si è rivolto ai carabinieri. Il telefono dell’operaio squillava a vuoto, finché poi il segnale non è diventato muto. Una volta depositata la denuncia sono ufficialmente partite le ricerche dei carabinieri, che hanno rintracciato la persona che a Tortolì aveva accolto Mosè Cao. Tra lunedì e martedì l’uomo è stato sentito due volte, ma sulla sua testimonianza gli inquirenti mantengono il massimo riserbo. Di certo ha fornito spiegazioni sul trasferimento in auto fuori Tortolì dove ha lasciato Cao insieme a un’altra persona, sulla cui identità è mistero fitto. Nel frattempo i militari hanno battuto le campagne e alcune abitazioni, ma anche l’entroterra ogliastrino. Nulla può essere lasciato al caso, compresi i fatti di cronaca avvenuti ultimamente.

Apparentemente sereno

Venerdì mattina Mosè Cao era in aula nel Tribunale di Lanusei insieme al suo avvocato Paolo Pilia. Doveva rispondere di violazione della misura di prevenzione personale dell’obbligo di soggiorno a Lotzorai. Un peccato veniale, rispetto alle accuse pendenti nel processo in corso per traffico di droga, che avrebbe dovuto pagare con quaranta giorni di pena convertibile in lavori socialmente utili. Chi lo ha visto al palazzo di giustizia racconta di una persona solare con aspetto disteso.

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(ro. se.)

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