Il problema, con tutta evidenza, non è la statistica dei morti ammazzati. È la contabilità dei vivi, il numero di quelli che resistono nei paesi abitati dai vecchi, dove i nuovi nati sono sempre troppo pochi rispetto ai defunti e i giovani abili partono lontano con l'idea di non tornare indietro.

In una terra disossata dallo spopolamento, da anni il fucile non canta più con la frequenza di una volta. In provincia di Nuoro, per dire, sono un ricordo non solo gli ammazzamenti a catena degli ultimi decenni, ma pure i relativamente contenuti quindici omicidi del 2008. Dati in calo costante, nel 2010 furono nove, eppure la più recente indagine dell'Istat inchioda questo versante della Sardegna (Ogliastra compresa) in cima alla classifica nazionale dei delitti di sangue. Cinque ogni centomila abitanti, assai più dei tre di Crotone, provincia della Calabria depressa che in materia di spari e piombo arriva subito dopo la Barbagia e il suo circondario. E allora, non è che la variabile su cui riflettere è ancora una volta quella del deserto che avanza? Insomma, non è che stiamo osservando adesso - e mica lo si era messo in conto - uno degli effetti dello spopolamento?
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