«Crediamo di aver dimostrato che gli autori del sequestro siano Graziano Pinna e Giovanni Sanna. La legge prevede pene severe per un fenomeno che in Sardegna è stata una piaga sociale sino all’altro ieri, e non è detto che possa ritornare. Ricordo i recenti progetti di Graziano Mesina. Un reato che prevede una pena minima di 25 anni e non c’è motivo per riconoscere attenuanti generiche». Sono le richieste finali del pm della Dda di Cagliari, Gilberto Ganassi pronunciate questa mattina davanti alla Corte d’Assise di Nuoro nei confronti degli imputati Giovanni Sanna, 55 anni, di Macomer, e il 43enne di Borore Graziano Pinna (difesi da Desolina Farris e Aurelio Schintu e Marialuisa Vernier). I fatti sono quelli del sequestro lampo del direttore di Banca Intesa di Orosei, Gian Paolo Cosseddu, e di sua moglie Pietrina Secce, compiuto la notte del 3 ottobre 2007.

La mattina del 4 ottobre, dopo il blitz nell’abitazione in cui tennero in ostaggio il direttore e sua moglie, i banditi avrebbero costretto la coppia a recarsi nell’istituto di credito di Orosei per aprire la cassaforte e consegnare 40mila euro. Ganassi ha ripercorso passo passo la lunga indagine, ricordando anche il prezioso lavoro del luogotenente Walter Proia, morto pochi mesi fa. Le prove indiziarie, dai tabulati telefonici ai riscontri «sono come una casa, mattoncino dopo mattoncino devono coincidere una dopo l’altra per costruire una casa solida quello che è avvenuto in questa indagine» ha sottolineato Ganassi, ricordando come su quasi mezzo milione di intercettazioni tra un altro sospetto, Pierpaolo Serra, morto assassinato un anno dopo il sequestro, era spuntato un indizio: un messaggio tra Pinna e Serra dove questo lo chiamava Caporà.

Un nomignolo che le vittime avevano indicato agli investigatori. Poi le improvvise disponibilità economiche di Sanna due giorni dopo la rapina, quando estinse un debito e acquistò un’automobile in contanti. A febbraio spazio alle difese.

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