Maternità surrogata: la testimonianza di una donna che è stata adottata
Un certificato di battesimo e un estratto dell'atto di nascita.
Due documenti e un mistero perché uno attesta che la bambina nata a Cagliari l'11 marzo 1951 è venuta al mondo in via Pessina 7, l'altro invece dice che è nata in via Donizetti 28.
Lei, però, delle sue origini non si è mai interessata.
Abbandonata dalla madre al brefotrofio di Cagliari, battezzata nella parrocchia Beata Vergine del Rimedio in San Lucifero (madrina Gina Podda), fu adottata da una coppia di coniugi della provincia di Nuoro. "I miei genitori sono loro, ed è per questo che se racconto la mia storia lo faccio mantenendo l'anonimato. Mi parrebbe quasi di tradirli...".
No, dice, "non ho mai provato quella che chiamano la ferita dell'abbandono.
Mi sono sempre sentita molto amata. Una bambina voluta e scelta". È per questo che, nell'ambito del dibattito sul caso del figlio di Nichi Vendola nato con il ricorso alla maternità surrogata, il suo giudizio a un certo punto si ferma.
"Io sono per la famiglia tradizionale, con un matrimonio tra un uomo e una donna.
Questa scelta della gestazione per altri mi sembra un commercio, ma il mio giudizio finisce qui perché so che quel bambino sentirà di essere molto amato".
Oggi su L'Unione Sarda il servizio con altri particolari della storia e l'intervista completa.
Nel video chiediamo all'intervistata una riflessione sulla vicenda del piccolo Vendola nato da maternità surrogata.