Una storia piena di colpi di scena. Fatta di fughe, clamorose evasioni, di conti con la giustizia che mai vengono scontati del tutto. La saga dell’ultimo “balente” sardo sembrava essersi conclusa nel 2004 con la grazia concessa da Carlo Azeglio Ciampi, e invece no.

Il primo arresto di Graziano Mesina è addirittura del 1956, quando “Grazianeddu” aveva 14 anni, per porto abusivo di pistola e oltraggio a pubblico ufficiale. Ottiene il perdono giudiziale e viene rilasciato, ma dopo non molto tempo viene nuovamente arrestato e mette a segno la prima delle evasioni che lo renderanno celebre. Si fa ricoverare al San Francesco di Nuoro, e di lì scavalca il davanzale di una finestra e si cala lungo un tubo dell’acqua in cui rimane nascosto per tre giorni.

Le sue fughe contribuiranno a costruire il “mito”. La prima risale a pochi mesi prima di quella del San Francesco: nel ‘62, quando si lancia da un treno in corsa durante il trasferimento da Sassari, verrà catturato dopo un lungo inseguimento.

Poi l’evasione dal carcere di San Sebastiano di Sassari, quando assieme all’ex legionario spagnolo Miguel Atienza si lascia cadere dal muro di cinta dell’istituto. E quella dal carcere di Lecce nel 1976. E ancora, la fuga d’amore dal penitenziario di Porto Azzurro (già scontava l’ergastolo) nel 1985.

Penultimo degli undici figli di una famiglia di pastori di Orgosolo, Mesina ha trascorso in carcere oltre 40 dei suoi 79 anni di vita.

In quarta elementare, racconta nella sua autobiografia, prese a pietrate il maestro e dovette lasciare la scuola per andare in campagna come servo pastore.

Il conflitto con la legge ha scandito tutte le tappe della sua vita, numerosi personaggi pubblici si sono occupati di lui. Tra i primi a battersi perché gli fosse concessa la grazia c’è stato Indro Montanelli, ma Giovanni Falcone disse no all’allora presidente Cossiga che aveva espresso “avviso favorevole” per la concessione del beneficio a Mesina, che all’epoca era in libertà vigilata.

Una parziale libertà che durò meno di due anni, trascorsi tra qualche visita ai familiari a Orgosolo e la campagna astigiana, dove viveva ospite di un amico d’infanzia.

Il 4 agosto 1993 la libertà condizionale fu revocata dopo il ritrovamento nel cascinale in cui viveva di un kalashnikov e altre armi da guerra. Nuova condanna a otto anni e mezzo e di nuovo in carcere. 

Il suo nome ricompare nelle vicende del rapimento di Farouk Kassam, Mesina sostenne di aver fatto da intermediario e aver favorito la liberazione dell’ostaggio, circostanza sempre negata dagli inquirenti e che lo ha portato ad una condanna per favoreggiamento.

Nel ‘99 Ciampi concesse la grazia all’avvocato Bruno Bagedda, suo storico difensore condannato a 14 anni di carcere per concorso nel sequestro e omicidio del giornalista Leone Concato. Cinque anni dopo la grazia arrivò anche per lui: uscito nel 2004 dal carcere di Voghera, Mesina tornò nella sua Orgosolo.

Qualche anno dopo, siamo nel 2013, nuovo arresto per associazione a delinquere finalizzata allo spaccio. Una maxi operazione degli inquirenti per sgominare due bande attive tra l’Isola e la Penisola con in tutto 26 affiliati. Sei anni dopo fu scarcerato tra le polemiche per decorrenza dei termini di custodia cautelare a causa del mancato deposito delle motivazioni della sentenza di condanna in appello. Il resto è storia recente, con “Grazianeddu” che si dà alla fuga nella notte, prima che la Cassazione renda definitiva la sentenza a suo carico riaprendogli le porte del carcere.

L'ennesima latitanza, durata questa volta un anno e mezzo, sulla soglia degli ottant’anni. Sarà l’ultima?

(Unioneonline/L)


 

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