La "porcilaia" è pronta. Radio carcere non ama le mezze parole. Quell'enclave senza luce e aria nel cuore di Badu 'e Carros, da sempre, ha un nome in codice. La definizione conquistata negli anni assegna a quel braccio del penitenziario nuorese il cruento nomignolo della stalla dei maiali. Quel budello buio e senza aria, puzzolente e ammuffito, con le radici di cemento armato conficcate sul promontorio della città di Grazia Deledda, non lascia adito a dubbi. È la Caienna per eccellenza. Solo se l'hai vista puoi percepire cosa sia un incastro di corpi umani e muri decrepiti. Lo statino anagrafico della detenzione recita: "fine pena mai". Muri sporchi, intrisi di sangue cruento, quello più violento mai sgorgato dentro un carcere. Roba da horror irriproducibile in un set cinematografico. Graziano Mesina è dovuto ricorrere a una nuova latitanza alla soglia degli 80 anni, pur di non rientrare nemmeno per un giorno in quel carcere nuorese, dove era uscito per decorrenza termini il 7 giugno dello scorso anno.

Lo sbarco del Dap

Chi non conosce la struttura nuorese, invece, sono Bernardo Petralia e Roberto Tartaglia, capo e vice del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ovvero i padroni di casa delle carceri italiane. Dopo il terremoto ai vertici della struttura nazionale di governo delle carceri per l'uscita dei mafiosi in permesso Covid il ministro della Giustizia li ha chiamati alla guida dell'inferno carcerario italiano. A poche settimane dall'insediamento, lo sbarco in Sardegna. Ieri sera volo Roma-Olbia, con tanto di depistaggi e segreti sulla missione. Arrivo al Costa Smeralda poco prima del tramonto. Stamane il tour de force. Prima tappa Nuoro. Le mosse dei due ambasciatori del ministro della Giustizia sono secretate. Un dato, però, è certo: poco dopo le 9 del mattino varcheranno le inferriate di Badu 'e Carros. Nessuno conosce ufficialmente il motivo di questa visita a 40 gradi all'ombra nella terra di Sardegna. Loro, invece, lo sanno perfettamente. Una missione quasi militare, da giocare in rapida sequenza, sfruttando le lunghe e sonnacchiose vacanze di politica e non solo. Nel manuale del boiardo di Stato c'è un codicillo che ti insegnano alla prima elementare: tutto ciò che non è gradito e può essere osteggiato deve essere realizzato nel bel mezzo della calura ferragostana, giusto il tempo di uno sbarco in terra sarda di nuovi e pericolosissimi mafiosi e camorristi. Petralia e Tartaglia lo sanno bene e stamane a Nuoro non vengono a portare refrigeratori. Con ogni probabilità parleranno poco, faranno finta di ascoltare, ma alla fine loro la decisione l'hanno già presa.

Missione d'Agosto

Entro agosto il blitz del 41 bis deve essere messo a segno. A partire da Nuoro, dove, nei piani inconfessabili del ministero della Giustizia si sta pianificando lo sbarco di 20 nuovi capimafia in regime di detenzione speciale, quella riservata ai più efferati boss della criminalità organizzata. La tappa nuorese, dunque, non è un caso. Da toccare con mano c'è prima di tutto la "porcilaia", il braccio detentivo ora occupato da un manipolo di terroristi jiaddisti destinati a raggiungere i "fratelli islamici" nel carcere di Bancali a Sassari. Nella "stalla dei maiali", secondo l'obiettivo inconfessabile, verrebbero dislocati dieci 41 bis, i più efferati. Stessa destinazione per il reparto femminile, ormai vuoto, appena rimaneggiato e pronto ad accogliere, secondo le decisioni ministeriali, altri dieci capimafia. Nuoro già un anno fa si è fatta carico di un centinaio di camorristi, mafiosi e 'ndranghetisti nel regime di Alta Sicurezza 1, uno scalino poco più giù della massima segregazione. Ora, invece, il via a un nuovo calvario penitenziario con il possibile arrivo dei picciotti di primo grado, le prime file dei clan di Riina, Provenzano e di Matteo Messina Denaro. La visita stamane a Nuoro dei vertici del Dap precede quella del pomeriggio a Uta, nel carcere tra Monte Arcosu e Macchiareddu chiamato a ospitare altri 110 capimafia in regime del 41 bis. Il viaggio itinerante dei due vertici della massima struttura di Stato ha un obiettivo preciso: scaricare in Sardegna, entro agosto, massimo settembre, il maggior numero di boss di mafia, camorra e 'ndrangheta, facendo dell'isola una vera e propria Caienna di Stato con oltre 220 capi mafia. Novanta già ospitati a Bancali, centodieci destinati a Cagliari e 20 a Nuoro. Un'operazione tenuta segreta ma che mette in netta contrapposizione due organi dello Stato di primaria rilevanza. Dieci giorni fa il capo dei giudici antimafia, il procuratore Federico Cafiero De Raho, in audizione alla competente commissione parlamentare aveva sollecitato l'invio in Sardegna dei boss nel carcere di Uta.

Rischio infiltrazioni

Pochi giorni dopo il ministro dell'Interno inviava alle Camere la relazione semestrale con parole della Direzione investigativa antimafia che lasciavano il segno: «Vale la pena di osservare - è scritto nell'incipit della relazione - come rimanga alto il rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto economico-sociale isolano, che potrebbe essere favorito anche dalla presenza, in diverse carceri sarde, di detenuti per delitti di mafia in regime di cui all'art. 41 bis». Uno Stato bipolare: da una parte esorta l'invio in Sardegna dei capimafia e dall'altra dichiara la pericolosità per le infiltrazioni mafiose legate proprio all'arrivo di questi illustri personaggi. Basterebbe rileggere le ultime relazioni della Direzione Investigativa Antimafia per capire quante infiltrazioni sono maturate dentro e fuori le carceri dell'Isola, dal traffico internazionale di droga a quello delle armi da guerra. Elementi che balzano agli onori della cronaca già da tempo ma che non sembrano interessare i vertici del ministero della Giustizia che, non solo confermano i centodieci boss in regime di 41 bis a Uta, ma pianificano persino di rimaneggiare la "porcilaia". A niente vale la storia dentro e fuori il carcere di Badu 'e Carros. Ai tempi del primo sbarco nel carcere nuorese di mafiosi e camorristi profetiche furono le parole dell'allora Presidente della Corte d'Appello Salvatore Buffoni: «Questa struttura diverrà un focolaio di violenza che rischia di incendiare la Barbagia».

I sindacati

I sindacati degli agenti penitenziari sono già sul piede di guerra e stamane cercheranno di farsi sentire. «Non ci sono i parametri di sicurezza per gli operatori», dice Michele Cireddu segretario generale della Sardegna Uil Polizia penitenziaria. «Le aggressioni agli agenti da parte di questi detenuti stanno diventando un pericolo serio che va affrontato con determinazione». E sull'inadeguatezza del carcere di Nuoro per il piano del 41 bis interviene anche il segretario regionale dell'Unione Sindacati di Polizia penitenziaria Alessandro Cara: «Badu 'e Carros ha gravissimi limiti strutturali, dalla sicurezza dei muri di cinta al funzionamento dei presidi di vigilanza. Nonostante la professionalità degli agenti, i numeri del personale sono ristretti e non sono sopportabili ulteriori nuovi carichi di questo livello». Il blitz segreto di stamane a Badu 'e Carros di Bernardo Petralia e del suo vice è, dunque, la conferma di uno Stato che continua a considerare l'Isola come una vera e propria Caienna di Stato, ignorando la storia e mettendo in pericolo la futura sicurezza economica e sociale di un'intera Regione. Non basterà di certo quella porta nera ultrablindata che separa il carcere dalla "porcilaia" a fermare i pericoli. Il codice rosso sarà perennemente attivato ma amici e parenti dei 41 bis arriveranno a Nuoro e dintorni con altro spirito.

La profezia della storia

Il rischio è che in Sardegna e a Badu 'e Carros si ritorni indietro nel tempo, quando in terra di Barbagia sbarcarono terroristi rossi e camorristi incalliti. Tempi cupi. Era il 1980. Durante una rivolta, furono uccisi Biagio Iaquinta, 28 anni, cosentino, e Francesco Zarrillo, 34 anni di Caserta. Per quel delitto furono condannati Pasquale Barra (detto O' Animale) e il boia delle carceri Cesare Chiti. Una delle due vittime fu decapitata. Poi fu la volta di Claudio Olivati, strangolato durante l'ora d'aria. Il 17 agosto del 1981 si consumò il più efferato degli omicidi, quello di Francis Turatello, "Faccia d'Angelo", boss della mala milanese. Il supercarcere nuorese divenne un mattatoio. Durante l'ora d'aria Turatello venne assalito e massacrato a coltellate. I suoi boia lo sventrarono. Gli strapparono il cuore dal petto e lo morsero come gesto di estremo dileggio. Quel braccio della morte, dentro il penitenziario, ora cade a pezzi. Lo terranno chiuso. L'amministrazione penitenziaria ha deciso di spendere altri milioni per costruire un nuovo edificio, per altri mafiosi e camorristi e nel frattempo ha messo mano al reparto femminile del carcere e alla vecchia "porcilaia". Ristrutturazione urgente. All'appello solo a Nuoro mancano 70/80 agenti. A Roma, intanto, pianificano un nuovo sbarco degli eredi dell'efferato braccio della morte di Badu 'e Carros.

Mauro Pili

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