«Gli mangio il cuore» non è il titolo di un film d’amore. Le parole sono scandite come coltellate sul petto, cruente come le gesta selvagge di chi le pronuncia. Il clan è quello della “bestia”, la mafia del Gargano. Il loro capo è Marco Raduano, il boss con la fuga nel sangue. Un capomafia spietato ed efferato, giovane quanto basta per ambire alla guida suprema del sodalizio criminale più pericoloso d’Italia. È lui che venerdì scorso, con quella fuga cinematografica dal carcere di Badu ‘e Carros, ha congelato le vene del capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

Hotel porcilaia

Aver violato l’hotel porcilaia di Turatello e Vallanzasca è stato un po’ come cancellare per sempre la nomea di un carcere di massima sicurezza, conquistata, però, senza mai esserlo stato. Nella sua terra, quella del Gargano, lo sperone d'Italia, lo chiamano “il Pallone” o “faccia d’angelo”. Ora è in fuga, ma a cercarlo non sono solo gli inquirenti e le forze dell’ordine di mezza Italia. Lui, che di angelo non ha nemmeno le ali, quando è precipitato da quella fune di lenzuola sul muro esterno del carcere nuorese, sapeva chi lo aspettava. Aveva pianificato ogni particolare, ma aveva una consapevolezza: doveva fuggire lontano e velocemente. Insieme alle pattuglie, infatti, lo cercano anche i clan rivali, quelli che si contendono con lui il controllo di uno dei mercati più spietati della droga e delle armi, quello del Gargano.

Mafia Gargano-Albanese

Non un’area marginale della criminalità organizzata, ma un epicentro internazionale che da anni lega la “quarta mafia”, quella garganica, con quella albanese, la più spietata dei Balcani. E del resto il cuore pulsante di questa organizzazione è la punta estrema dell’Italia verso la sponda opposta. Il teatro di centinaia di omicidi, agguati e stragi è Vieste, 13 mila abitanti, borgo estremo della sponda balneare della provincia di Foggia, profonda Puglia. Qui ha il suo quartier generale il “saltatore con le lenzuola”, è in questo anfratto di mare che si concentrano i suoi uomini e i suoi affari criminali. In quelle viuzze, però, si annidano anche i suoi nemici, quelli che un tempo erano suoi alleati e che ora lo vogliono vedere finito.

Scalata di sangue

La sua scalata è stata cruenta, con omicidi e metodi da horror spietato, per sancire la sua supremazia in quell’enclave di mafia capace di coniugare tradizione e modernità. Della filosofia che lo ispira scrive la Direzione Investigativa antimafia: “La tradizione è quella del “familismo mafioso” tipico della ‘ndrangheta e della ferocia spietata della camorra cutoliana; la modernità, invece, è la vocazione agli affari, la capacità di infiltrazione nel tessuto economico-sociale, la scelta strategica di colpire i centri nevralgici del sistema economico della provincia, e cioè, l’agricoltura, l’edilizia e il turismo”. Lui, il fuggiasco di Badu ‘e Carros, non ha perso tempo.

Gli strappacuore

Quando ha capito che nel suo clan di appartenenza non era scontata la sua ascesa ha deciso di diventare “motu proprio” il capo degli scissionisti, eleggendosi a capo del clan di Raduano, il suo. Per prendere, e mantenere, il controllo del territorio, dei rapporti con la mafia albanese, ha scelto metodi capaci di segnare in modo indelebile la sua efferatezza, come marchio indelebile del suo sodalizio. È ottobre del 2019. Gli uomini della Direzione distrettuale Antimafia di Bari intercettano il nucleo spietato del clan Raduano. I nastri impressionano parole e frasi che destabilizzano anche gli inquirenti. Le voci sono agli atti dell’ultimo blitz quello che sgomina gran parte del clan Raduano. Quindici uomini del capomafia di Vieste finiscono in carcere: 240 i capi d’accusa per reati contestati che vanno dall’associazione per delinquere finalizzata a traffico e spaccio di droga, fino alle armi e ricettazione con l’aggravante mafiosa. Una volta sbobinate quelle intercettazioni emerge un quadro della Raduano Connection capace di far accapponare la pelle a chiunque.

Le intercettazioni

Secondo la Procura Raduano aveva istituito un vero e proprio nucleo operativo con il compito di punire pusher che infrangevano le “regole” imposte dal “capo” criminale. La più efferata delle intercettazioni dovrebbe essere vietata anche ai maggiorenni: “Se questo sta in giro lo uccido col martello in mezzo alla strada che poi mi devo mangiare il cuore. Gli devo zappare in testa, gli devo tagliare le mani. Lo uccido, poi dobbiamo giocare a pallone con la testa sua». I suoi uomini Raduano li controllava come bestie, con «l’utilizzo di tecniche particolari, come le fototrappole che normalmente si usano per gli animali, posizionate nei luoghi abitualmente frequentati per prendere o spostare la droga».

Controllo militare

Scrivono i magistrati: «Un controllo militare del territorio, la violenza, il clima di terrore che genera una condizione di assoggettamento». Radio carcere a Badu ‘e Carros sapeva tutto, e questo bastava per consentire a questo personaggio di muoversi con il sorriso apparente e la crudeltà nell’animo. Ora è apparentemente libero, ma non è più al sicuro come forse lo era nel carcere nuorese. È vero, lo cercano inquirenti e forze dell’ordine, ma nel Gargano lo aspettano anche i suoi nemici, quelli che lui ha tradito, abbandonando il sodalizio per una scissione che ora si combatte con un fiume di sangue.

Agguato, miracolo e fuga

A lui l’hanno giurata. Le date, per la mafia del Gargano, sono riti e simbologia mafiosa. Non è un caso che sempre il 21 marzo degli ultimi anni si siano consumati omicidi e agguati. Era la data prescelta anche per la fine di Marco Raduano. Il clan avverso doveva chiudere la partita a colpi di fucile automatico, lui, però, per un miracolo, si è salvato. Lo hanno colpito con 11 colpi, ma è riuscito a scappare, anche allora. Il giorno dopo verrà arrestato, l’accusa sarà quella più flebile: aver violato la «sorveglianza speciale». Il gruppo d’azione avversario reagisce senza troppi convenevoli e uccide Girolamo Perna il capo del clan in guerra con gli “scissionisti” guidati proprio da Marco Raduano. Sino a venerdì alle 17 il capomafia pugliese era relativamente al sicuro nel carcere di Badu ‘e Carros, davanti a se, però, aveva il rischio di un salto nel buio del 41 bis.

41 bis e cambio merce

Lo sapeva lui e, con ogni probabilità, il suo nucleo d’azione, quello capace di ogni gesto criminale, figuriamoci il supporto logistico per una fuga tanto spietata quanto clamorosa dalla terra di Sardegna. Le ipotesi sul tavolo sono alternative o complementari. In questi anni nel carcere di Badu ‘e Carros non è da escludere che gli uomini di Raduano abbiano stretto rapporti, magari con il cambio merce, armi e droga, con esponenti della criminalità locale, sempre più vicina ai due settori preminenti della mafia del Gargano, la droga e le armi, in particolar modo quelle per gli assalti ai portavalori.

Rischio infiltrazioni

Se ci fosse stato, come è messo nero su bianco dalla direzione investigativa antimafia, un rapporto sempre più pericoloso tra la criminalità organizzata e quella locale, costruito dentro e fuori le carceri sarde, saremo dinanzi ad un’escalation pericolosissima di infiltrazioni mafiose in Sardegna, frutto di quella discarica di capimafia spediti irresponsabilmente a centinaia nell’Isola. A supportare il dopo “salto del muro”, però, è stato certamente necessario un intervento esterno, non da escludere quello straniero.

Albanesi via mare

La mafia garganica, infatti, ha un rapporto strettissimo con quella albanese, con la quale i traffici sono quotidiani, di armi e droga. Un rapporto che si svolge tutto via mare, con mezzi potenti al servizio dell’organizzazione, non ultimi velocissimi natanti, yacht della droga e delle armi, abituati al trasbordo notturno dalla costa balcanica a quella dell’Adriatico. L’imponenza della partita in gioco, il controllo di un mercato miliardario di droga e armi, non esclude che per la fuga di Raduano abbiano per un attimo cambiato sponda operativa. Di certo in Sardegna non sembra esserci più traccia di un fuggitivo con le idee chiare e i rapporti stretti a suon di denaro e armi. I margini operativi a sua disposizione, del resto, sono stati troppo ampi, le tre ore tra la fuga e l’allarme, la notte e il mare da attraversare il più rapidamente possibile. Se, invece, il capomafia fosse ancora nell’Isola prenderebbe corpo sempre di più il pericolo di infiltrazioni mafiose, un cancro letale per la Sardegna e i sardi.

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