Se potessero parlare racconterebbero tutto, la distruzione del passato e i soprusi del presente. Del resto un immenso patrimonio di una civiltà imponente come quella nuragica lo si può devastare con la furia della “Damnatio memoriae” oppure con l’ignavia e la negligenza dei tempi moderni. Ci sarebbe da narrare l’incedere violento di genti venute da lontano capaci, senza un lecito perché, di ridurre in frantumi quei “Kolossos”, simbolo di Giganti in terra sarda. La storia, quella di tremila anni fa, però, non ha lasciato niente di scritto sull’ecatombe di Mont ‘e Prama. Nessuna carta scolpita, se non quelle statue ridotte in mille pezzi sparsi qua e là nelle colline e nelle valli dei Giganti. Storia non scritta, solo decodificabile e interpretabile, come l’archeologia insegna. Non serve, invece, un’innata scienza per leggere le carte moderne, quelle degli apparati di Stato che occupano come elefantiaci carrozzoni ogni spiffero della cultura e della storia di una terra violentata e, poi, sedata, nonostante i più malvagi soprusi e abusi verso la sua millenaria Civiltà.

Landa desolata

In quella terra del Sinis si sta consumando, per l’ennesima volta, il sacrilegio della memoria, con proclami che sfiorano la sequenza di una mitragliatrice e l’esito di un requiem. A distanza di ben nove anni dall’incedere su quelle colline di un georadar, la landa sullo Stagno di Cabras è ancora desolata, come non mai. A niente è servito quell’urlo tratteggiato sulle mappe a forma di preannunciate presenze archeologiche, rilevate da quel marchingegno capace di ascoltare e scrutare le viscere della terra attraverso riverberi geofisici, ovvero onde elettromagnetiche, in grado di individuare nel sottosuolo tutte le più evidenti “anomalie” del terreno. Un apparecchio inedito nella terra dei Nuraghi, capace di esplorare a determinate profondità, per diversi metri, senza bisogno di aprire trincee, scavare o tirare ad indovinare.

La moderna “Damnatio”

Per l’archeologia moderna, quella più evoluta, significa avere un coadiuvo di straordinaria efficacia, in grado di far risparmiare tempo e denaro, concentrando il prezioso lavoro degli archeologi quasi a colpo sicuro. La moderna “Damnatio memoriae” qui è tratteggiata da una sequenza di atti che lasciano esterrefatti anche i più magnanimi sostenitori del potere statale e burocratico in terra di Giganti. Non solo si tenta di coprire i misfatti di Stato con un uso abnorme della propaganda ministeriale, ma si usano ritrovamenti, segnalati già da anni e di per sé scontati, come paravento per una gestione del sito di Mont ‘e Prama che non ha bisogno di telecronache per percepirne l’abbandono e la negligenza gestionale. Si spendono migliaia di euro in riviste patinate, si spende e si spande propaganda a buon mercato, funzionale solo a nuovi carrozzoni, emanazione e sintesi di istituzioni pubbliche a tutti i livelli, incapaci, però, sino a prova contraria, di traguardare progetti che vadano oltre l’usa e getta di qualche viaggetto in comitiva nella terra dello Zar di Russia o dell’America di Biden.

Roba da Corte dei Conti

Eppure quello che si sta consumando a Mont ‘e Prama è più tema da Corte dei Conti che da inchiesta giornalistica. Ci limitiamo anche per questo alla sola sequenza dei fatti, con tanto di documenti. Basterebbe prendere in esame i “lavoretti” d’urgenza, da quattro soldi, affidati a trattativa “diretta”, sempre alle stesse imprese, vedasi quella del signor Mirabelli di Cosenza, per comprendere la pressapochezza con la quale si tiene in totale abbandono quell’Olimpo dei Giganti, lo stesso che gli esperti definiscono “il più importante della storia della Sardegna”. Sono le tempistiche, la cronologia dei fatti, a rendere il caso Mont ‘e Prama un vero e proprio misfatto in terra sarda. Le scritture di Stato segnalano che ormai da un anno sono in corso le procedure di esproprio di quelle aree, prima dichiarate insignificanti sul piano archeologico ed ora “pronte” ad essere acquisite, con gravi responsabilità erariali, a caro prezzo dalla pubblica amministrazione. È dal sette luglio dello scorso anno, da quando il Ministero ha avviato le procedure di esproprio, che quelle aree sono ancora nelle mani dei proprietari, senza che quel decreto di esproprio si sia compiuto sino in fondo. Tempi biblici, per ogni minima procedura, come se non si fosse perso già abbastanza tempo. È su quell’esproprio, su quelle “anomale” valutazioni di Stato, che l’affaire Mont ‘e Prama assume i connotati di un vero e proprio caso.

Cavalleria rusticana

I passaggi di questa vicenda sono una “cavalleria rusticana” di sottovalutazioni, di ritardi, di errori e soprattutto di autorizzazioni rilasciate a dir poco “sorprendenti” che consentiranno di fare di tutto e di più proprio su quel sito, lo stesso che oggi si vorrebbe tardivamente espropriare. Corre l’anno dei Giganti 2013 quando Gaetano Ranieri, docente di Geofisica dell’Università di Cagliari insieme a Momo Zucca, professore dell’Università di Sassari, ricevono un finanziamento per uno studio tanto moderno quanto innovativo da attivare proprio nell’arena dei Giganti. Il titolo è esplicito: «La geofisica come strumento essenziale per l’archeologia moderna, il caso di Mont ‘e Prama . Quando le quattro ruote trascinano le antenne geofisiche nell’area l’obiettivo è chiaro, comprendere l’evoluzione archeologica al di fuori di quel quadrilatero dove da anni, stancamente, procedono gli scavi. Il georadar, ne riproduciamo il tracciato dai documenti scientifici ufficiali, batte a tappeto il lato sud e quello nord dell’area di scavo. Nel 2013 a sud c’è un campo di grano, a nord solo erbacce. I dati vengono confrontati, verificati, rielaborati: il risultato è sconvolgente. Secondo i rilievi geofisici le anomalie del sottosuolo lasciano percepire la presenza di un insediamento di vastissime dimensioni e di notevole importanza. Gli studi vengono comunicati ufficialmente agli organismi preposti, solo dopo qualche anno, a grandi linee, verranno pubblicati in riviste scientifiche di livello internazionale. Un dato è certo, l’equipe delle due università non si ferma ai rilievi. Grazie all’ausilio dell’ “orecchio” geofisico, vengono aperti nuovi e puntuali scavi, quelli che faranno ritrovare uno dei Giganti più imponenti tra quelli di Mont ‘e Prama. Dal 2013, però, i dati sulle anomalie scorrono sottovoce. Quelli con la “ puzza al naso” , che guardano con profonda disistima le innovazioni archeologiche, hanno l’approccio di chi non crede ad una sola parola di quanto dichiarano quei rilievi.

Barbatelle & affari

È qui che l’affaire dei Giganti assume i contorni di una vicenda che va ben oltre un’inchiesta giornalistica. Tra il 2015 e il 2016, infatti, in quei punti esatti dove il georadar aveva indicato le prosecuzioni del sito archeologico, un signore di Santa Giusta acquista tutti i terreni circostanti. Dal notaio all’aratura il passo è rapido, non certo come l’apposizione di un vincolo di tutela immediata di quell’area. Dal vomere alla piantumazione di migliaia di barbatelle non passano molte settimane. In un attimo il sito di Mont ‘e Prama è circondato. Quando le viti si stanno già inerpicando nei filari, la Soprintendenza dispone, il 4 luglio del 2018, con gravissimo ritardo, sondaggi-assaggio lungo il vitigno. L’incarico alla ditta “Trowel” di Cagliari è fulmineo. Quindicimila euro per testare soprattutto il mappale 1586 del foglio 8 del Comune di Cabras. Pubblichiamo le foto. Trovano esattamente quello che il georadar aveva indicato. Il prosieguo del sito archeologico è senza tema di smentita esattamente sotto il vigneto. Peccato che l’otto giugno del 2016, ignorando i rilievi geofisici, messi a conoscenza dei vertici archeologici di Stato, il Soprintendente aveva dichiarato «l’inesistenza di problemi riguardanti la lavorazione superficiale e il completamento della piantumazione».

«Povero e incerto»

Del resto la stessa soprintendenza il 20 ottobre del 2016 aveva vergato una relazione definita addirittura “Tecnico – Scientifica” dove si affermava senza tema di smentita: «Lo stesso quadro povero e incerto emerge dai risultati delle più sistematiche ricognizioni di superficie e delle indagini geofisiche eseguite nel 2014». Nessuno lo dice, ma quelli che alzano l’ultimo ritrovamento al cielo, sono gli stessi che sei anni prima avevano denigrato non solo il lavoro del georadar ma avevano persino dichiarato che il quadro in quelle aree era «povero» e «incerto». Nonostante quella “denigrazione” sostanziale delle indicazioni geofisiche il 29 novembre del 2016 si procede con un decreto per la “tutela indiretta” di un’area poco più ampia rispetto a quella dello scavo iniziale. Tutela indiretta, una soluzione all’acqua di rose. Per quella “diretta” bisognerà attendere luglio 2017. Il vigneto, però, a quel punto sarà in piena produzione, sistematicamente arato e irrigato. Produce botti di vino, con i Giganti sotto terra.

“Champagne” dei Giganti

Ora, però, è tempo di espropri. Quei terreni nel 2013, anno della scoperta geofisica, erano incolti. Ora, catastalmente e produttivamente, sono vigneti. La Soprintendenza, la stessa che aveva dichiarato che quei terreni potevano tranquillamente essere piantumati, adesso li espropria per un “grande interesse archeologico”. Peccato che quei vigneti ora valgano molto di più di un terreno incolto. Il decreto di esproprio parla di un valore attuale di 308 mila euro per qualche ettaro di terra, anche se ancora non ha declinato il valore di ogni singolo appezzamento. La Regione mostrandosi magnanima in tema di espropri da pagare a caro prezzo ha scelto uno stanziamento "ad abundantiam” prevedendo una spesa di ben mezzo milione di euro per quei terreni. Il passaggio da terreno incolto a “terra da champagne” vale giusto una distrazione di Stato. I Giganti possono aspettare. La loro collina è ancora occupata.

(2.continua)

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