L'annata no e il prezzo del grano, annunciato a circa 20 euro al quintale, gettano nella disperazione gli agricoltori.

A Serrenti, Samassi e Serramanna questi sono i primi giorni dedicati alla mietitura: prima dell’orzo e poi del grano, ma sa’arregotta, la raccolta del frumento che fino a una decina di anni fa era una festa e occasione di entrate economiche, è vissuta con sconforto.

Il prezzo del grano è da fame e l’umore, sotto i tacchi, è ben rappresentato da Paolo Boero, agricoltore-allevatore di Serrenti che annuncia: "Sto pensando seriamente di non seminare più, e come me molti altri coltivatori".

La borsa del frumento di Bologna, in questi giorni, quota una tonnellata di grano duro a 206 euro: poco più di venti euro al quintale. Ancora peggio va a Foggia, dove il listino di una tonnellata è a 190 euro: appena 19 euro a quintale.

In Sardegna circola da qualche giorno la proposta di prezzo del gruppo Cellino: 21 euro al quintale.

"Fra lavorazioni, seme, concimazione, diserbanti e mietitura i costi di produzione per un ettaro arrivano anche a 700 euro. Producendo in media 30 quintali ad ettaro il bilancio va in rosso".

"Ho iniziato a mietere l’orzo: senza prezzo, senza ovvero conoscere quanto e quando ce lo pagheranno", interviene Massimiliano Pontis, coltivatore di Serramanna che rileva, anche lui, "l’annata caratterizzata da rese scarse".

"In molti stiamo pensando di non seminare più grano": le parole di Pontis sono le stesse di Paolo Boero. Marcilio Pittau, cerealicoltore di Samassi, fa un’amara considerazione: "Siamo in mano agli ammassatori, ai compratori, che ci pagano il grano sottocosto. Siamo costretti a coltivare a queste condizioni, ma con questi prezzi non si può più fare cerealicoltura".

"Quest’anno avremo medie di 20 quintali a ettaro che fanno un introito di circa 400 euro: così non riusciamo a rientrare nelle spese", è il grido di dolore di Dario Pintus, coltivatore serramannese. Anche lui pensa di ridurre la coltivazione: "da 50 ettari a 7-8 nella prossima annata".

I prezzi da fame strozzano i coltivatori, e la cerealicoltura sarda è a rischio.
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